I tagli alla politica? La Casta
che si mette a dieta? E voi ci credevate davvero? Sta per accadere un miracolo,
si diceva, i parlamentari italiani si sono arresi, vogliono adeguare i propri
emolumenti a quelli dei loro colleghi europei: sembrava un sogno, una favola,
invece era una patacca. Dopo lo stop del governo al testo del
«taglia-indennità», la legge di iniziativa popolare, nata dopo una raccolta di
firme della gente, si è miseramente spiaggiata alla Camera e annaspa a pancia
in su nella commissione Affari costituzionali. Vista la dichiarata «volontà
bipartisan» di «proseguire l’iter», i due relatori stanno cercando di
rianimarla. Con poche chance. Più speranze invece sembra avere il provvedimento
sull’ineleggibilità dei condannati. Filippo Patroni Griffi, ministro della
Funzione pubblica, s’impegna a nome del governo «ad attuare la delega in tempo
utile perché possa essere applicata alle prossime elezioni». Si tratta di un
emendamento del ddl anticorruzione che Palazzo Chigi potrebbe trasformare in
decreto. Nonostante tutte le corsie di emergenza previste dai regolamenti,
difficilmente si potrà fare in tempo per le Regionali del Lazio. L’obbiettivo
più realistico è di riuscire a «pulire» le liste per le Politiche del 2013. In compenso si ferma anche il previsto ridimensionamento delle 108
province: mentre il ministro Patroni Griffi annuncia che il governo dovrà «fare
un intervento chirurgico» sul Titolo V della Costituzione per armonizzare le
funzioni degli enti locali, prima di tirare fuori il bisturi occorrerà
attendere la sorte dei tanti ricorsi che pendono alla Consulta. E la
Casta non dimagrisce. Eppure, per quanto riguarda gli stipendi, sarebbe
un’operazione semplice semplice. Basterebbe riempire di contenuti, ossia di
cifre, l’articolo unico del provvedimento, pronto da anni. Leggiamo. «I
parlamentari, il presidente del
Consiglio, i consiglieri e gli assessori regionali, provinciali e comunali, i
governatori, i presidenti delle province, i sindaci» e anche tutti «i
funzionari nominati nelle aziende a partecipazione pubblica» non possono
«percepire a titolo di stipendi, emolumenti, indennità somme superiori alla
media della Ue per incarichi equivalenti». Troppo semplice. Infatti la
commissione di tecnici guidata dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini,
incaricata all’epoca di Tremonti, di studiare i paramenti di riferimento si è
accorta che negli altri Stati c’è un mix di benefit e servizi «che rendono
difficile la comparazione» e a dicembre si è dimessa «per l’impossibilità di
fornire dati utili». Giovannini è tuttora in carica ma senza gli altri
consiglieri, come ha riferito alla commissione Affari costituzionali, il suo
parere non ha valore. E il governo, preso nell’orgia dei tagli, ha congelato la
nomina dei nuovi consiglieri. Giovannini potrebbe comunque fare dei numeri e
formulare delle proposte. Ma le sue indicazioni avrebbero solo «valore
istruttorio» e non legale. Toccherebbe quindi ai parlamentari l’onere della
scelta politica, stabilire il quantum del decurtamento. E qui torniamo al
problema iniziale: siamo sicuri che la Casta voglia rinunciare a dei soldi,
mettersi finalmente a dieta? I due relatori stanno tentando di risollevare la
balena, «l’articolo 68 della Costituzione – dice Pierluigi Mantini, Udc –
prevede che l’indennità di deputati e senatori sia stabilita da una legge. Io
sarei dell’idea di indicare un tetto massimo, così almeno su un punto possiamo
intervenire». Si pensa anche ad agganciare gli emolumenti a quelli del
Parlamento europeo. Proprio da Bruxelles è stato copiato il sistema per il
rimborso dei portaborse: verranno pagati direttamente, basta soldi cash ai
parlamentari e basta creste. il giornale
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