Ha detto Pierluigi Bersani: “Ogni giorno da
Berlusconi arriva una novità, ma il dato costante è che sopra o sotto, da un
lato o dall’altro, c’è sempre lui”. Forse, mentre spremeva dalle meningi questa
ovvietà, il segretario del Pd aveva anche il ditino alzato e di certo voleva
muovere un appunto al leader del centrodestra. Ma il suo è stato solo un clamoroso autogoal,
davvero un bel riconoscimento per il ruolo sempre decisivo di Berlusconi, che
dal 1994 a oggi ha sempre saputo comportarsi da numero uno, sia come capo
politico che come uomo di governo. E’
per questo che – da quasi vent’anni - appena Berlusconi dice bianco, subito la
sinistra si affretta a dire nero. L’inverso,
cioè che la sinistra dei Bersani e delle Bindi parli per prima per essere poi
smentita da Berlusconi, non è mai
accaduto, né mai accadrà.
Non è solo questione di stile, bensì di contenuti.
Il fatto è che Bersani, con le parole dette oggi,
ha solo fotografato la propria irrilevanza politica.
Quando ha proposto di aggirare il patto di
stabilità e di fare spendere qualche soldo in più ai Comuni (specie a quelli
rossi), prima il governo Berlusconi e poi quello di Monti gli hanno risposto
picche, salvando la baracca italiana. Idem
quando Bersani ha suggerito di aumentare gli stipendi del pubblico impiego,
ignorando l’entità del deficit statale: se lo avessero ascoltato, saremmo in
mutande come la Grecia. Ecco,
la differenza è semplice: se parla Berlusconi, tutti capiscono qual è il
baricentro della politica, e si danno una regolata; quando invece lo fa
Bersani, l’indifferenza è totale.
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