Claudio Romiti su: l’Opinione –
Come accade da sempre in tali frangenti, il caso Lazio spinge buona parte
dell’informazione e dell’opinione pubblica a focalizzare la propria attenzione
sulla cosiddetta pagliuzza, evitando quasi completamente di guardare la
“trave”. Eppure due semplici ma significativi numeretti ci dicono che il vero
problema dell’attuale dissesto politico va bel al di là di quei pur corposi
emolumenti che da tempo definiamo privilegi della casta. Ebbene, a fronte dei
14 milioni di euro che il Consiglio regionale del Lazio si è concesso in favore
dei relativi gruppi politici, sapete a quanto ammonta il debito consolidato
della medesima regione? La
bazzecola di 25 miliardi. Una somma colossale la quale non rientra
nell’indebitamento dello Stato e che per circa la metà appartiene al tanto
decantato servizio sanitario pubblico. Tutto questo, in soldoni, significa che
i cittadini laziali, oltre a portare sul groppone circa i 33.000 euro a testa
del citato debito dello Stato, se ne debbono sobbarcare in aggiunta altri 5.000
di quello regionale. Ed è questo a mio avviso il vero dramma di tutta la
questione, di cui i cosiddetti costi della politica, per con tutte le loro
odiose manifestazioni, rappresentano solo le briciole. Ovvero la suddetta
pagliuzza. In realtà, una corretta informazione – eventualmente depurata dai
tanti dogmi collettivisti che la rendono cieca di fronte a troppi fenomeni –
dovrebbe cominciare a dire, come si fa da tempo su queste pagine, che uno dei
principali problemi del nostro traballante sistema non è caratterizzato da
quanto i politici spendono per sé, bensì da quanto questi ultimi spendono per
farsi eleggere o, in generale, per mantenere od accrescere il proprio
consenso, tanto sul piano
individuale che su quello del relativo partito. In altri termini, come appunto
dimostra l’enorme indebitamento del Lazio – che per la cronaca la giunta
Polverini è comunque riuscita a contenere molto meglio dei suoi predecessori,
nonostante la crisi – ciò che i vari amministratori eletti si “pappano”
attraverso leggine compiacenti non è paragonabile al dissesto finanziario che
il loro frenetico deficit-spending provoca nei vari bilanci pubblici. Bilanci
pubblici che in molte regioni, soprattutto del centro-sud, sono letteralmente
devastati dalle spese folli di una classe politica locale che mira unicamente
ad ottenere consenso a buon mercato. Tanto poi a pagare il conto è sempre e
comunque il solito Pantalone. Ed è molto grave che sotto questo profilo la
sinistra italiana cerchi di speculare anche sulle dimissioni della governatrice
del Lazio, continuando previcacemente a sostenere che tutto si risolverebbe
semplicemente cambiando il colore politico di chi governa. A forza di dare
credito alla fandonia del partito degli onesti, retaggio immarcescibile della
diversità comunista, l’intero paese sta inesorabilmente scivolando verso il
baratro. Un sistema che consente alla mano pubblica di gestire ben oltre metà
del reddito nazionale è un sistema sbagliato, a prescindere da chi lo governi.
E quand’anche si riesca per avventura ad impedire ai tanti “Batman” in
circolazione di campare ad ostriche e champagne coi nostri soldi, questo non
servirà certamente a salvare l’Italia dalla bancarotta, se non si taglia con
l’accetta la spesa pubblica corrente.
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