mercoledì 30 novembre 2016

REFERENDUM, LETTERA DEL PRESIDENTE BERLUSCONI

il Presidente                                                              Arcore, 29 novembre 2016



 



Il 4 dicembre avrai in mano un'arma con la quale potrai fermare una riforma del tutto inaccettabile e nemica della democrazia.
Una riforma che - se venisse approvata - renderebbe impossibile governare per il centrodestra o per chiunque tranne il PD.
Questo è assurdo, intollerabile, ingiustificabile, perché cancella il concetto stesso di democrazia.  Avremmo un Senato nel quale la sinistra avrebbe automaticamente una maggioranza assoluta almeno del 60%, perché le regioni, e non più i cittadini, nomineranno i senatori, e il PD controlla 17 regioni su 20. E poiché il Senato conserva compiti importantissimi, anche se gli elettori dessero la maggioranza a noi, i nominati dal PD al Senato potrebbero bloccare l'azione di governo.
Se invece vincesse il PD, grazie alla nuova legge elettorale, si innescherebbe una deriva pericolosa.
Infatti una sola forza politica con il 30% dei voti potrebbe avere tutti i poteri. Il 30% dei voti significa il 15% degli elettori, visto che ormai purtroppo la metà degli italiani non vota.
Così, con il voto di un italiano su sei, un partito potrebbe non solo governare, e controllare il Senato, ma anche scegliere le massime istituzioni di garanzia, dal Capo dello Stato alla Corte Costituzionale.
Per questo il tuo voto è importantissimo. Non cedere alla tentazione di restare a casa: questo Referendum non è come gli altri, non prevede un numero minimo di votanti. Varrebbe anche se votasse un solo cittadino. Se rimani a casa gli altri decideranno comunque per Te. La scelta in fondo è semplice: puoi accettare o respingere una riforma sbagliata, inaccettabile in democrazia, che non fa risparmiare nulla, che rende le istituzioni meno efficienti.
La vuole un governo, quello di Renzi, che non ha risolto neppure uno dei problemi del nostro Paese, ed anzi ne ha aggravati diversi. Dopo 1000 giorni di governo Renzi, l'Italia ha aumentato di 106 miliardi il suo debito che tutti noi dovremo pagare, lo Stato ci toglie con le tasse la metà della ricchezza che produciamo, il numero dei poveri è aumentato di un milione nell'ultimo anno.
La disoccupazione non diminuisce, è rimasta quella di tre anni fa, quando Renzi è entrato a Palazzo Chigi, di tre punti percentuali più alta del livello al quale noi l'avevamo lasciata nel 2011.
La sicurezza è a rischio per tutti, l'immigrazione è fuori controllo.
Con questo Referendum, Renzi cerca quella legittimazione che non ha mai avuto dal voto degli italiani. Anche per questo noi diciamo No e invitiamo anche Te a dire No con noi.
Il nostro No non ha lo scopo di lasciare le cose come stanno. Ha lo scopo di ridare la parola agli italiani per un governo diverso e per un vero cambiamento, condiviso e positivo, della Costituzione.
Ci impegniamo infatti, dopo la vittoria del No, a lavorare con tutte le parti politiche ad una nuova e diversa riforma che dovrà contenere:
1) Un limite costituzionale alla pressione fiscale, per cui nessun governo, neppure un governo di sinistra, potrà aumentare le tasse oltre un certo limite.
2) Un taglio drastico al numero dei parlamentari in modo che diminuiscano a 450, contro i 1000 attuali: 300 alla Camera e 150 al Senato.
3) Il vincolo di mandato: un parlamentare non deve poter cambiare schieramento, deve rispettare quello in cui è stato eletto. Se cambia idea, deve dimettersi.
4) L'elezione diretta del Capo dello Stato, in modo da sottrarla ai partiti e affidarla ai cittadini.
Renzi minaccia ogni giorno, se dovesse vincere il No, crisi nei mercati finanziari, instabilità e ritorno al passato.
Non succederà nulla di tutto questo. Nessuna instabilità e nessun ritorno al passato.
Si terranno invece nuove elezioni, con una nuova legge elettorale che rispetti la volontà dei cittadini, per avere finalmente una maggioranza di governo che corrisponda alla maggioranza degli italiani.
Se anche Tu credi, come noi, che l'Italia abbia bisogno di un cambiamento in meglio (e non in peggio come quello che Renzi ci propone occupando radio e Tv), di un cambiamento di governo, di un abbattimento della oppressione fiscale, della oppressione burocratica, della oppressione giudiziaria, allora non esitare domenica 4 dicembre: vai a votare e vota No.
Per Te e per i Tuoi figli, per un comune futuro di prosperità, di giustizia e di libertà. 
Silvio Berlusconi

4 DICEMBRE 1944 LA LIBERAZIONE DI BRISIGHELLA: LA RAPPRESAGLIA DI S.STEFANO SETTEMBRE 44 - TESTIMONIANZE DEI FAMIGLIARI DELLE VITTIME.



MARCO LOLLI CERONI – Ho raccolto alcune testimonianze di un fatto accaduto durante il passaggio del fronte a S.Stefano nel settembre 1944. Una rappresaglia delle S.S. e delle Brigate repubblichine verso i contadini della zona di S.Stefano. Conti Giorgio era mio nonno e fu l'unico sopravissuto.
La parrocchia di S.Stefano in Zerfognano è una comunità adagiata poco sotto una delle tante dorsali che dalla via Emilia risalgono verso l'appennino. Situata alla quota di poco oltre 300 metri è composta da poderi e case rurali. Il Prato, la Lama, il Castellaccio Nuovo, il Castellaccio Vecchio, la Colinaccia, Monticello, e Dugento, sono i poderi più adiacenti alla chiesa. Anche se non esiste un agglomerato vero e proprio, da tutte le abitazioni, è quasi sempre possibile scorgere le altre, come se facessero parte di un piccolo borgo. Nel settembre 1944 quella zona fu teatro di scontri tra tedeschi e gruppi partigiani che culminarono nella rappresaglia del 25 settembre.
VENERDì 22 SETTEMBRE 1944 : alcuni partigiani provenienti da Fornazzano, diretti verso Faenza, comandati da Liverani "Palì" si riparano per la notte nella case della zona di S.Stefano in Zerfognano. Il Prato è uno dei poderi più vicino al crinale e alla chiesa. La casa è molto grande e riescono ad viverci molte persone. In quei giorni gli occupanti sono addirittura diciassette. C'è Zauli Domenico detto " Minghì de Prè" di anni 51 reduce della 1° guerra mondiale il quale aveva trascorso cinque anni sul Carso; la moglie Emma Montevecchi (anni 41); tre sorelle Vittoria 19 anni; Pia 20 anni; Caterina 18 anni e quattro fratelli; Paolo (anni 15), Ugo (anni 11) Tommaso " Masì" ( anni 9) e Gaetano di 18 mesi. C'è Suo fratello Ubaldo Zauli, detto "Baldì" di anni 57 e la sorella Lucia ( 54 anni) con il marito Angelo Mamini "Angiolì", una figlia, Rosa (13 anni) e un figlio Valerio (anni 17) sfollati da Faenza. C'è Piercarlo Montevecchi (anni 14 e cugino di Emma Montevecchi) fratello di latte di Paolo, figlio della maestra di Zattaglia, Giulia Montaguti. Ci sono infine i genitori della farmacista di Fognano sfollati invece da Marradi dove imperversano le battaglie con gli inglesi della 5° armata. Anche al Prato, nonostante il timore di qualche spiata ai tedeschi o ai repubblichini, la famiglia Zauli accoglie questi giovani partigiani quasi tutti natii del faentino o zone limitrofe: Castel Bolognese, Solarolo, Riolo Terme. Tra di loro, il  faentino Gino Monti e "Attila". Rimangono qualche ora, mangiano qualcosa e prima di partire a notte inoltrata. Riescono perfino ad intonare qualche canzone e qualche ballo. Alcuni rimangono a dormire nel fienile, ma all'alba sono già spariti.1
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4 DICEMBRE 1944 LA LIBERAZIONE DI BRISIGHELLA: LETTERA APERTA VINCENZO GALASSINI


Lettera aperta di Vincenzo Galassini dedicata alla Liberazione di Brisighella
Lunedì 8 Dicembre 2014 - Brisighella -- Brisighella ha celebrato Il 4 dicembre il 70^ anniversario della liberazione. Avevo cinque all’epoca, sono nato il 5 dicembre. I ricordi sono flebili, data l’età, ma una cosa è certa i miei genitori, mia madre cattolica e mio padre d’idee socialdemocratiche mi hanno inculcato il coraggio e l’amore per la verità . Ricordo vagamente, il piccolo rifugio nella cantina, dove abitavo in via 24 maggio e quello immenso della Famiglia Lega. Porto ancora il segno, nell’orecchio, del morso di un topo quando ci rifugiavamo per l’arrivo dell’ aereo “pippo”, ma non certo il timore. Ci sono ancora alcuni piccolissimi segni di schegge nella facciata di casa e ricordo i nascondigli che usavano per nascondersi, conosciuti da più grande, che mi sembravano facili da trovare, forse perché nessuno era venuto a cercare. Ricordo la sera del 18 aprile del 1948 quella della vittoria della Democrazia Cristina e di Saragat, sul Fronte Popolare. Davanti all’osteria di mio zio Gigiolè in via Fossa, c’era un gran traffico di brisighellesi che si dirigevano nella piazza Carducci, poi, ricordi certi e sicuri: la musica che proveniva  dall’arena parrocchiale Giardino, del film Sangue Arena,  Verde Luna,  martellante, ma bella. Brisighella è stata politicamente per tanto tempo “un’isola bianca”, nel periodo dei miei studi ricordo il diverso linguaggio dei miei maestri da Parini, severo e austero, a Dalmonte più ambiguo, che ho conosciuto poi in politica. Nella scuola di avviamento professionale, come dimenticare  l’austero prof. Giberti. Allora non si parlava della Resistenza con insistenza come oggi. Immenso era, il cimitero dei soldati tedeschi che vedevo in via  F.lli Cardinali Cicognani inizio di Via Puriva.  Nel 1956 ricordo l’invasione dell’Ungheria da parte dei sovietici e la mia prima protesta con gli altri  studenti a scuola a Faenza.  Sulla Liberazione di Brisighella, poco si è scritto, molto invece su Cà Malanca. Ricordo i vari avvenimenti e celebrazioni per ricordare la Brigata Maiella sciolta a Brisighella, la Friuli, le varie cerimonie con parole generaliste ma non particolari non specifiche di brisighellesi. Per conoscere i fatti e i dettagli, della liberazione di Brisighella, si è dovuto aspettare il 2004 (sessantesimo della liberazione) con il bel libro pubblicato dall’Associazione La Memoria storica di Brisighella: “Brisighella 1944 - nell’oppressione, nella prova, un popolo solidale”.  Un libro curato da diversi autori, protagonisti dell’epoca, ancora viventi, che ne hanno dipinto un quadro direi quasi completo ma con zone d’ ombra non approfondite, forse per l’età degli scrittori ma forse ancora per timore dei fatti della sinistra comunista, allora fondamentale per Brisighella. Per esempio la presenza Sap (Squadre di azione patriottica) di origine cattolica, aperte al contributo di tutte le idee politiche anche socialiste, diversa dalle altre formazioni di sinistra comunista che operavano a parte; il contributo di vita pagato dai tanti civili. Il fronte non si fermò a Brisighella, colpì particolarmente Riolo Bagni

martedì 29 novembre 2016

REFERENDUM, LA RIFORMA COSTITUZIONALE DI (DU)CETTO LA QUALUNQUE


Cavour, Giolitti e Mussolini governarono sostanzialmente con lo stesso sistema costituzionale, ma con leggi elettorali diverse. Fu l’introduzione del suffragio universale (in un paese ad alto tasso di analfabetismo), e il Patto Gentiloni che ne derivò, a cambiare gli assetti politici reali. In poco tempo l’Italia fu spinta verso la Prima Guerra Mondiale, sull’onda delle pressioni violente esercitate dalla teppa interventista di destra e di sinistra. Finita la guerra più inutile della Storia, il sistema elettorale generò il caos da cui originò il fascismo. E infine fu la legge Acerbo (voluta da Mussolini e che determinò l’aggregazione del Listone) a trasformare un sistema più o meno rappresentativo in una dittatura. E’ questo il quadro storico da non dimenticare il 4 dicembre. A dispetto dei ragli di chi si ostina a ripetere che l’Italicum non è oggetto della riforma costituzionale soggetta a referendum, gli effetti nefasti della riforma Boschi-Verdini derivano dalla combinazione con una legge elettorale demenziale partorita dall’arroganza puerile del Ducetto La Qualunque convinto di avere in mano il Paese grazie a un’elemosina di 80 euro. Una Costituzione che rafforzi i poteri del governo nel quadro di un sistema parlamentare con sistema elettorale proporzionale, sortisce effetti totalmente diversi quando il sistema elettorale regala a una minoranza la maggioranza dei seggi in Parlamento. Gli argini all’autoritarismo e all’arbitrio o, se preferite, un efficace equilibrio di pesi e contrappesi assicurato dalle dinamiche di una coalizione parlamentare, in un sistema maggioritario deve essere garantito da istituzioni non soggette al controllo della maggioranza. Invece la riforma elettorale assegna al caporione del partito che vince le elezioni oltre al governo, il controllo di Commissioni Parlamentari, Rai, Autorità indipendenti (si fa per dire), Forze Armate, Polizia, Banca d’Italia, Eni, Finmeccanica, Inps, Enel, Cassa Depositi e Prestiti, Poste, Agenzia delle Entrate, Equitalia (o come cavolo verrà ribattezzata), Ferrovie e una forte influenza su Presidenza della Repubblica, Corte Costituzionale e Csm. E, come ciliegina, il caporione controllerà i cordoni della borsa su una miriade di enti locali (con annesso sistema sanitario) nonché i salvataggi di banche e imprese in dissesto. Detto in termini semplici, una legge elettorale assurda e una Costituzione che non prevede argini alle decisioni del governo in un paese dove lo Stato controlla direttamente o indirettamente oltre due terzi dell’economia, significa instaurare un regime. Lo Statuto delle Opposizioni è solo una carognata in quanto viene votato a maggioranza in Parlamento, cioè in pratica viene dettato dal governo.
La Costituzione fissa principi generali e regole vaghe. Il problema è che tali principi e regole vanno fatti rispettare. Questo compito spetta all’autorità costituita. Ma se tale autorità non ha nessun interesse ad agire, anzi propende per la violazione delle regole costituzionali a proprio vantaggio, la Costituzione diventa come lo Statuto Albertino durante il fascismo. Ad esempio l’art. 24 dello Statuto recitava: “Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla Legge. […] Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammessi alle cariche civili e militari, salve le eccezioni determinate dalle leggi”. Questo articolo non impedì le leggi razziali contro gli ebrei. Lo Statuto prevedeva la libertà di stampa (art. 28) e la libertà di riunione (art. 32), ma non garantì nessuna delle due perché non esistevano istituzioni che potevano opporsi al governo del Duce, nemmeno il Re. Per concludere, un sistema costituzionale non si giudica dal fatto che se vincono i nostri tutto va per il meglio. Si giudica dal fatto che se vincono gli altri il sistema non si trasforma in un’autocrazia. La democrazia è in prima istanza un meccanismo per limitare i poteri del sovrano e della maggioranza. Non per aprire a qualche campiere della massoneria agropastorale toscana, insieme al rottame comunista salernitano, la porta del potere.


MATTEO BOMBA E LE COOP ROSSE A SESTO FIORENTINO


lunedì 28 novembre 2016

REFERENDUM, BERLUSCONI IN CAMPO : “NO PER FAR CADERE GOVERNO”


Un unico fronte del No ma diverse vedute su quello che sarà il dopo 4 dicembre e soprattutto sul futuro del centrodestra. A otto giorni dal voto Silvio Berlusconi, come promesso, intensifica le sue apparizioni televisive per la campagna elettorale e il suo appello è forte e chiaro: "Bisogna andare a votare per un deciso e responsabile No, anche per mandare a casa un governo che non risolve niente". L'ex Cavaliere sceglie gli studi di canale 5 per sfidare, se pur a distanza di qualche minuto, il premier. Con la riforma costituzionale e l'Italicum "si è cucito un vestito addosso" per diventare "il padrone d'Italia", è l'accusa. Le regole del gioco, invece, vanno scritte insieme. Ecco perché il leader di Forza Italia, dopo un'eventuale vittoria del No, continua a "sperare" nella volontà di renzi di aprire un tavolo sulla legge elettorale, al quale invita a sedere anche "tutte le forze nel nostro Paese". L'ex Cav punta a modificare l'Italicum tornando "al proporzionale, con un limite per i piccoli partiti per non avere una frammentazione eccessiva del Parlamento". Se invece dovesse vincere il Sì, è sicuro Berlusconi, la storia d'Italia "cambierà nel male". È per scongiurare questa ipotesi, mosso "dal senso di responsabilità" verso il Paese che ama che è tornato in campo. E per lo stesso senso di responsabilità, dice dal salotto di Barbara D'Urso, che potrebbe anche ricandidarsi dopo una pronuncia favorevole della corte di Strasburgo. Matteo Salvini, almeno a parole, è pronto ad accoglierlo a braccia aperte. "Sarei davvero felice se uscisse dagli impedimenti e fosse in condizione di ritornare pienamente alla politica", dice, non dimenticando di sottolineare, però, come i tempi siano cambiati. "Dobbiamo tutti guardare avanti. Non possiamo ripresentarci agli italiani nello stesso modo in cui lo abbiamo fatto sempre. Il che significa che chiunque voglia sfidare il Pd alle prossime elezioni dovrà avere la piena legittimazione degli italiani.




DELIRIO TOTALE NAPOLITANO SU FIDEL CASTRO:”GIUSTO RENDERE OMAGGIO”


"Fidel Castro è stato protagonista storico di grande rilievo sul piano mondiale del secolo scorso, e si è caratterizzato come un costruttore di un esperimento di stato fondato sulla mobilitazione e il sostegno popolare, fin quando non sono balzate in primo piano e divenute contraddizioni fatali le componenti autoritarie e la subordinazione agli schemi sovietici e al blocco ideologico-militare guidato da Mosca". Lo afferma il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una nota.
"Fidel Castro - prosegue - è stato nel contempo mito ideale e politico per grandi masse di militanti della sinistra nel mondo, nella stessa Europa e nel nostro paese. Anche per il suo straordinario carisma personale ha ispirato movimenti rivoluzionari, in particolare nell'America Latina, e alimentato speranze immaginando un futuro libero dal dominio capitalistico. La Cuba di Castro è stata anche al centro in vari momenti di tensioni tra le maggiori e più pericolose tra i blocchi dell'Est e dell'Ovest nel periodo della guerra fredda e oltre. La sua rivoluzione contro il regime di Batista non era stata guidata da ostilità verso gli Stati Uniti, ma piuttosto da vicinanza alle grandi tradizioni di libertà di quel paese. È giusto rendere omaggio oggi alla sua figura per l'esperienza complessa e drammatica che ha rappresentato nelle sue luci e nelle sue ombre, e per la lungimirante apertura con cui negli ultimi anni ha assecondato un processo di avvicinamento all'Occidente e di superamento delle barriere che avevano a lungo tenuto isolata la sua Cuba".


URAGANO A MONTE MAURO IL FUTURO DEL CENTRODESTRA: BOSSI ALL’ATTACCO DI SALVINI




Non bastava il ritorno di Silvio Berlusconi. Pronto a riprendersi il centrodestra e a guidarlo alle prossime elezioni. Ora Matteo Salvini deve fare i conti con un altro "vecchietto terribile". Pronto a riprendersi la Lega. Umberto Bossi non ha dubbi: "La base non vuole più Salvini, non vuole più uno che ogni giorno parla di un partito nazionale". "Il 16 dicembre - aggiunge - scade il mandato di Salvini". E allora ecco partire la richiesta di una convocazione immediata del congresso federale: "Il nuovo segretario lo deciderà il congresso. Il congresso è sovrano".
Il Senatur è un fiume in piena e non si risparmia: "Salvini ha i voti? I voti non servono a niente, se non sai per che cosa li prendi. Alla base, soprattutto in Lombardia e in Veneto, non frega niente dell'Italia". Serve un nuovo segretario, uno che si attenga allo Statuto e non faccia quello che vuole". 
A stretto giro di posta ecco la risposta di Salvini: "Tutti i militanti della Lega sono impegnati, non a chiacchierare, ma nelle piazze per fare campagna per il No al referendum, perché la riforma cancella ogni tipo di autonomia e qualsiasi speranza di auto-governo e federalismo: questo stanno facendo la Lega e i leghisti; altro è tempo perso. Si parla della Costituzione e del futuro dei nostri figli... e non delle beghe di partito. Andiamo avanti".

venerdì 25 novembre 2016

SILVIO BERLUSCONI: BASTA POCO PER FARE UNA RIFORMA. PER FARLA CHIARA E COMPRENSIBILE.


REFERENDUM COSTITUZIONALE, SCENDONO DAVVERO I COSTI DELLA POLITICA SE PASSA LA RIFORMA?


Uno degli argomenti nel dibattito sul referendum è il risparmio di costi della politica che ne conseguirebbe. Stimiamo un risparmio massimo per il contribuente di 140 milioni due anni dopo l’entrata in vigore della riforma e di 160 milioni a regime. Una stima, ovviamente, con margini di incertezza.
di Roberto Perotti (www.lavoce.info) - Circolano le stime più svariate sui risparmi che si otterrebbero se passasse la riforma costituzionale. In questo lavoro stimo un risparmio per il contribuente di 140 milioni due anni dopo l’entrata in vigore della riforma costituzionale, e di 160 milioni a regime. La Tabella 1 sintetizza le fonti di questi risparmi. Come sempre, queste stime sono soggette ad un ampio margine di incertezza. In particolare, la stima di alcuni di questi risparmi si basa su una interpretazione favorevole di alcuni passaggi ambigui nel testo della riforma. Sotto una interpretazione più restrittiva, i risparmi si ridurrebbero a circa 110 milioni dopo due anni e 130 milioni a regime.

Tabella 1: Sommario dei risparmi dalla riforma costituzionale
Il seguito di questa nota  mostra i dettagli di queste stime. Per comprenderle, è  importante tenere presente che cercherò di ricostruire  il  risparmio per i  contribuenti dalla attuazione della riforma. 
La “decostituzionalizzazione” delle province: Come è noto, la riforma costituzionale rimuove le province dalla lista di enti costituzionali. In molti includono i risparmi dall’abolizione delle province nel calcolo dei risparmi dalla riforma costituzionale. Questo approccio non è corretto. Il motivo è semplice: gran parte delle funzioni delle province sono già state riallocate a comuni, città metropolitane, e regioni con una legge ordinaria del 2014 (la legge “Delrio”); i dipendenti pubblici non più necessari verranno gradualmente riassorbiti da altri enti pubblici; la stessa legge ha  eliminato gli emolumenti ai consiglieri provinciali. Dunque i risparmi della riforma delle province si sono già manifestati, e rimarrebbero anche se passasse il no al referendum: sono indipendenti dalla riforma costituzional

giovedì 24 novembre 2016

SILVIO BERLUSCONI A MATRIX: “UN NO DECISO E RESPONSABILE”


"Berlusconi a "Matrix": "Se vince No serve tavolo per riforma condivisa. Il veto di Renzi alla Ue? Minaccia infondata. Mediaset? Solo timore fisiologico da imprenditore"
Il Cavaliere è stato accolto nello studio dalle immagini delle coppe vinte dal Milan. Ma il tema caldo è uno solo: il referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre: "Il mio No è deciso e responsabile", ha detto Berlusconi, rispondendo a chi parla di una campagna "tiepida" da parte sua: "Qualcuno mette in giro la storia del ni, ma non è così", spiega, "Oggi il pericolo comunista non c’è più. c'è un sia un sistema tripolare, con Movimento 5 stelle, Pd e centrodestra". Resta quindi la critica all'italicum, un "vestito cucito su misura" per Renzi che ora calza a pennello ai Cinque Stelle e che porta a una deriva autoritaria: "Un’estrema minoranza può avere il governo del Paese, molti italiani - oggi al 50% - non vanno più a votare", spiega l'ex premier, "Solo con un sistema proporzionale si può avere un sistema che rappresenti la maggioranza degli italiani. Bisogna eliminare il ballottaggio".
E se vince il No? "Ho parlato con Mattarella. Non succederebbe nulla", ribadisce, "si apre la possibilità di una riforma della costituzione molto diversa e positiva. Sarà indispensabile sedersi a un tavolo per discutere la riforma costituzionale e una nuova legge elettorale".
Sui sospetti che Mediaset si schieri per il Sì per il timore di ritorsioni da parte del governo, Berlsuconi spiega: "Mi sono pentito di ciò che ho detto ieri, ma io ho fatto riferimento a quello che è il fisiologico timore di chi ha aziende private e ha paura di avere ritorsioni di chi è al potere".
Berlusconi non crede nemmeno alle minacce di Matteo Renzi che sostiene di voler porre il veto al bilancio Ue: "È una minaccia infondata, doveva essere messo prima, come per le sanzioni contro la Russia". Solo una mossa di propaganda? "Non voglio definirla, ma è una cosa che non si può fare", taglia corto il Cavaliere. Che non commenta nemmeno le parole e i toni di Beppe Grillo: "Mi piace parlare delle persone quando ne posso parlare bene, quando devo parlarne malissimo evito".
Capitolo migranti: "L’immigrazione è un fenomeno preoccupante in tu


ACCOZAGLIA? DA CHE PARTE.


Quando uno vede Napolitano, ossia un signore che ha fatto e disfatto i governi e che è entrato in Parlamento all'età di 27 anni per non uscirne più, si fa fatica a pensare che possa rappresentare il nuovo, ma anzi è più facile ritenere che là dove si schiera l'ex capo dello Stato non si possa schierare chi voglia cambiare le cose. Lo stesso dicasi di Giovanni Bazoli, il professore che per 34 anni è stato al vertice della più grande banca italiana, senza mai far mancare la sua influenza sulla politica e  senza mai rinunciare alle lezioni di etica, salvo poi finire indagato per una vicenda di banca e di nomine. E che dire di Carlo De Benedetti, prima tessera del Pd, ma anche uno dei primi a patteggiare una condanna per una faccenda di falso in bilancio dell'Olivetti? Insomma, l'argomento dell'accozzaglia è controproducente per chi lo usa. E allora stiamo al merito, cioè a che cosa promette la riforma costituzionale e cosa davvero mantiene. Si tagliano concretamente i costi della politica? La risposta è no, perché i miseri risparmi usati per irretire l'elettore (la Ragioneria generale dello Stato li quantifica fra i 50 e i 60 milioni l'anno) sono già vanificati dalle spese per il referendum confermativo, senza contare poi che la legge Boschi, non sfiorando le spese delle Regioni autonome, rappresenta la pietra tombale sulla possibilità di ridurre gli sprechi di enti che non solo costano pro capite più di altri, ma non restituiscono ai cittadini in termini di efficienza ciò che dilapidano. Quanto all'altro argomento forte della campagna del Sì, ovvero la velocizzazione dei provvedimenti legislativi, che sarebbero troppo a lungo palleggiati dalle due Camere, se si guardano i dati si scopre che essere rinviate sono solo le leggi che il Parlamento non vuole fare, per esempio quelle riguardanti difesa dell'ambiente oppure il taglio degli sprechi o ancora le norme che puniscono la frode o il depistaggio. Per tutte le altre, a cominciare dalla legge Fornero sulle pensioni o il recepimento della direttiva della Ue sul bailin o, ancora, la svuota carceri, sono bastate poche settimane. Dunque, quando la maggioranza vuole, le leggi le fa, quando non vuole e preferisce prendere in giro gli elettori, fa correre la palla senza andare mai a rete. Eliminati dunque le tesi a favore del Sì (Casta, risparmi, velocità dei processi decisionali), che cosa resta di un dibattito che ha bloccato il Paese per almeno un anno e che di fatto ha sospeso l'attività di governo per consentire a premier e ministri di fare campagna elettorale? Rimane solo l'ambizione di un leader di mettere al proprio guinzaglio il Parlamento. Dopo aver imbavagliato stampa e tv, il premier vuole imbavagliare anche le Camere, piegandole ai suoi interessi. Non siamo alla deriva autoritaria, siamo alla deriva e basta, perché mentre si certifica l'ennesimo rallentamento dell'economia italiana, si discute solo di quanto potere dare al presidente del consiglio. Ùn'accozzaglia di chiacchiere.


mercoledì 23 novembre 2016


NAPOLITANO UOMO CASTA SIMBOLO DEL SÌ


MAURIZIO BELPIETRO - C'è un'accozzaglia di signori che tifa per il Sì. Di questo «raggruppamento indiscriminato e disparato» (definizione tratta dal dizionario Devoto Oli) fanno parte Gad Lerner e Denis Verdini, Michele Santoro e Mirello Crisafulli, Giovanni Bazoli e Vincenzo De Luca, Giorgio Napolitano e Giuliano Ferrara, Carlo De Benedetti e Pier Ferdinando Casini, Vincenzo D'Anna e Fabrizio Cicchitto, ovvero tutta gente che notoriamente e da sempre lotta senza tregua contro la Casta. Così quanto meno pare pensarla il presidente del Consiglio, che durante la puntata della trasmissione di Rai 3 condotta da Lucia Annunziata, ha punzecchiato Maurizio Landini, accusandolo di difendere la classe politica al potere e di impedire che l'Italia cambi verso rinnovandosi. Peccato che nell'accozzaglia di sostenitori del Sì vi siano alcuni degli esponenti più longevi della Casta, ovvero gli stessi che dà almeno 30 se non 40 anni dettano legge in Parlamento, nelle banche e in tv. Si può ragionevolmente pensare che Giorgio Napolitano, il quale a novant'anni suonati ha assicurati, oltre allo stipendio e alla pensione, uno stuolo di portaborse, non sia un autorevole rappresentante della Casta? E si può ragionevolmente credere che Michele Santoro, uno che dalla Rai, cioè da un'azienda pubblica, è entrato e uscito più volte riuscendo sempre a guadagnarci, ottenendo anche di trascorrere una breve vacanza all'Europarlamento, non faccia parte della Casta, per lo meno di giornalistica? E allora forse, visto che l'accozzaglia è            equamente distribuita, che a sostenere il si ci sono «vecchi arnesi» esattamente come tra chi sostiene il No, forse sarebbe ora di mettere da parte l'arma della retorica anti Casta tanto cara al presidente del Consiglio e andare dritti al sodo della riforma, senza ulteriormente scomodamente scomodare l’argomento del vecchio contro il nuovo, che non solo non ha fondamento, ma che rischia di essere un boomerang.



IMPRESSIONANTE PRODI!!! ASCOLTATE LA SUA VERGOGNOSA DICHIARAZIONE!!!



Ascoltate questo TRADITORE dell'ITALIA... che di recente è stato condannato dalla Giustizia Europea per tutta una serie di REATI!...  Ascoltate LUI che ha TRATTATO per il cambio LIRA-EURO come CONFESSA DI AVER SVENDUTO LA LIRA



martedì 22 novembre 2016

TESORETTO DA MEZZO MILIONE DI EURO. REFERENDUM: QUANTO COSTA E CHI PAGA. I PARTITI FANNO SOLDI COL REFERENDUM.


Un euro per ogni firma raccolta, per un massimo di 500mila euro di rimborso pubblico. A prescindere da quanti andranno a votare per il referendum costituzionale del prossimo autunno, il comitato nazionale “Basta un Sì”, avendo raggranellato le 500mila firme necessarie, ha già maturato il diritto di passare all’incasso del mezzo milione di euro. Che si tratti di referendum abrogativo o costituzionale, infatti, le consultazioni prevedono il finanziamento pubblico diretto. Che si chiama però rimborso. Una sorta di indennizzo economico per l’attività di promozione dei quesiti ammessi dalla Consulta, che da un lato risarcisce i comitati civici che promuovono un referendum, dall’altro rimborsa i partiti politici che li sostengono.
costituzionale basterà che il comitato promotore riesca a raccogliere 500mila firme e l’accesso al rimborso sarà automatico. Nel nostro ordinamento, per ottenere i fondi, nel caso di referendum abrogativo è necessario raggiungere il quorum, cioè che voti il 50% più 1 degli aventi diritto, se si tratta invece di referendum
Tutto legittimo, funziona così, lo ha stabilito la legge 157 del ‘99. E’ la democrazia. Se non fosse però che il refrain “per fare il referendum la tua firma conta” della chiamata alle armi del Pd per il Sì alla riforma Renzi-Boschi ha confuso non poco i cittadini, compresi i suoi militanti. Al di là del numero delle raccolte, firme infatti, la consultazione si sarebbe fatta comunque perché era stata già richiesta ad aprile da un quinto dei parlamentari per il Sì e per il No, e questo sarebbe bastato. Ma senza comitato niente soldi. E la caccia all’ultima firma era indispensabile per arrivare al numero 500mila, necessario per assicurarsi quel tesoretto di mezzo milione. Anche il comitato per il No, guidato dai costituzionalisti Alessandro Pace e Massimo Villone, avrebbe sperato ovviamente nello stesso esito, che vale soldi e visibilità mediatica, ma il numero delle firme raccolte consegnate alla Cassazione sono state 316mila. Una buona base da cui partire, ma niente indennizzo. Così è stato nel 2006, quando il comitato per il No alla riforma della Costituzione voluta da Berlusconi ha ricevuto 495.000 euro; e nel 2001, quando il comitato per il No alla riforma del titolo V, promossa dal Centrosinistra, non avendo raccolto le 500mila firme necessarie non ottenne nessun rimborso. Dal 2000 ad oggi sono stati pagati circa due milioni e mezzo di euro di rimborsi elettorali per quattro referendum abrogativi e uno costituzionale. I due quesiti sulla privatizzazione dei servizi idrici del 2011 hanno fruttato al comitato “2 sì per il bene comune” 1 milione di euro (mezzo milione per ciascun quesito).
La stessa cifra che si è accaparrata Italia dei Valori di Antonio Di Pietro per gli altri due quesiti abrogativi, quello sul legittimo impedimento per le alte cariche dello Stato e il secondo sulla produzione di energia elettrica nucleare in Italia



lunedì 21 novembre 2016

NASCITA DEL CRISTIANESIMO


https://www.facebook.com/imperiumtour2015/videos/1180280958649689/

Il video in questione inizia dalla massima espansione dell'impero romano per arrivare alla nascita del cristianesimo in Europa. Non era mia intenzione offendere altre religioni, o per mostrare l'abuso di una cultura sull'altro. La mia pagina riguarda la diffusione della cultura. La storia, l'architettura, la lingua romana in Italia. Mi scuso se qualcuno si è offeso ma non era mia intenzione Francesco Zanolli Estremamente chiaro. Dovrebbe far meditare più d'uno. Grazie! IMPERIUMTOUR

 


DEBITO PUBBLICO, L’ASCESA DI TRUMP FA SALIRE GLI INTERESSI. COSI’ IL PESO CHE GRAVA SULL’ITALIA PUO’ DIVENTARE INSOSTENIBILE. POVERA ITALIA CHE NON HA RIDOTTO IL DEBITO PUBBLICO


L'elezione del tycoon ha provocato un aumento generalizzato dei rendimenti dei titoli di Stato, perché i mercati si aspettano che le sue scelte economiche inducano la Fed a muoversi in quella direzione. Il Tesoro quindi pagherà di più sulle nuove emissioni. Questo mentre la deflazione fa aumentare il rapporto tra l'indebitamento e il Pil. Gli effetti sui mercati più immediati e vistosi dell’elezione di Donald Trump sono stati il rafforzamento del dollaro e un aumento generalizzato dei rendimenti dei titoli di Stato. Entrambi hanno una matrice comune: l’idea che le scelte economiche della nuova amministrazione Usa produrranno maggiore inflazione e quindi indurranno la banca centrale statunitense a muoversi più in fretta nel percorso di rialzo dei tassi. La prospettiva dell’aumento dei tassi fa scendere i prodotti finanziari – Un aumento dei tassi, o semplicemente la prospettiva che questo accada, provoca un immediato adeguamento dei rendimenti di tutti i prodotti finanziari. Ma l’unico modo in cui il rendimento di un titolo di Stato può scendere o salire è la variazione del valore dello stesso titolo. Bund, Btp, Treasury eccetera pagano infatti una cedola fissa che non cambia mai. Ad esempio un titolo decennale che vale 100 e rende il 10% pagherà ogni anno sempre 10. Se però nel frattempo i rendimenti salgono (a titolo di esempio di un altro 10%), il valore del titolo scende. Se viene scambiato a 50 invece che a 100 e la cedola è ancora di 10 l’interesse pagato diventa del 20%. Oggi i mercati si attendono che i titoli di Stato di prossima emissione renderanno più di quelli in circolazione e quindi il loro valore si adegua automaticamente. Questo non sta accadendo solo in Italia. I rendimenti dei titoli decennali Usa sono saliti fino al 2,3%, il bund tedesco è passato dal -0,2% di ottobre al +0,3%, i Btp italiani a 10 anni sono saliti fino al 2,2% sui massimo da oltre un anno. L’Italia però, come spesso accade, vive anche dinamiche particolari. In qualche misura incidono anche le incertezze legate al referendum del 4 dicembre, come dimostra l’allargamento del differenziale di rendimento rispetto ai titoli spagnoli

SPEAD PEGGIO DEL 2001, PER L’ITALIA SARA’ UNA CATASTROFE



Giulio Tremonti: Alla vigilia del referendum Bankitalia suona l'allarme: in caso di vittoria del "No" al referendum, secondo Palazzo Koch le conseguenze potrebbero essere pesanti. Si parla di spread e dintorni, e chi della questione è più esperto se non Giulio Tremonti? In pochi. Già, perché l'ex ministro dell'Economia, tra 2010 e 2011, aveva vissuto da via XX Settembre l'incubo della vendetta dei mercati. E ora, interpellato dal Corriere della Sera sugli scenari post-referendari, circa la ventilata instabilità finanziaria mostra di avere idee differenti: "La capacità delle banche centrali di interpretare la realtà politica tende da ultimo verso il basso", spiega. E se non fosse chiaro, quando gli viene chiesto se è sbagliato pensare che una vittoria del No agiterà i mercati, Tremonti risponde tranchant: "Mi risulta l'opposto. Se Matteo Renzi resta con il dissesto finanziario che ha creato, con le promesse fatte, con le difficoltà che avrebbe a tornare indietro, a non essere se stesso, il rischio vero è proprio che resti. Con Renzi si stabilizza il rischio". Per Tremonti, dunque, meglio la "cacciata” del premier.
Parlando di deficit, diktat europei e manovra, l'ex ministro utilizza toni durissimi: "Le coperture sono una tantum, o una pocum. Dove sarebbe lo spread - chiede retorico - se non ci fossero gli interventi della Bce? Drammaticamente peggio che nell'autunno 2011, ben oltre i 500 punti. Se la Banca d'Italia facesse come allora una simulazione su questo punto, la saremmo tutti grati". Per Tremonti, dunque, la situazione attuale è peggiore rispetto a quella che affrontò un lustro fa. L'ex ministro conclude sottolineando come, a suo parere, "il governo si è sviluppato per tre anni in assenza di realtà - tassi zero, soldi gratis - ma la realtà torna con la durezza del tempo di ferro che arriva. Che vinca il Sì o il No. Non è solo questione di referendum o di strategie di palazzo, ma di realtà che torna e chiede gli interessi. Su questo scenario necessario - conclude apocalittico - uomini e idee sono tutti da identificare".


BERLUSCONI SPRONA FI “ORA LA NOSTRA PRIORITA’ E’ FARE VINCERE IL NO”


Il leader punta a dare la spallata a Renzi: «Metterò mano al partito dopo il voto»
Francesco Cramer - Roma Berlusconi tira la volata al No, tiene d'occhio con apprensione Strasburgo e medita un rimescolamento di carte in Forza Italia. Rientrato in mattinata ad Arcore, il Cavaliere continua a tessere la sua tela. L'ultima mossa è stata quella di varcare il portone di via XX Settembre, sede dell'ambasciata inglese a Roma. Un incontro estremamente cordiale con la nuova ambasciatrice Jill Morris, nominata nel luglio 2016. Durante il colloquio Berlusconi, accompagnato da Gianni Letta e Valentino Valentini, ha potuto ripercorrere i suoi dieci anni di politica estera, sottolineando l'amicizia che ha sempre legato i due Stati e rievocando l'ottimo rapporto avuto con i leader inglesi, sia laburisti sia conservatori. Naturalmente s'è parlato pure di Brexit e, su questo punto, l'ex premier ha sottolineato come l'eventuale vittoria del No al referendum non avrà alcun effetto catastrofico sul Paese. Tutt'altro: la bocciatura della riforma potrà essere il volano per fare una riforma ben più efficace ma soprattutto condivisa e non lacerante. «Così come la fecero i padri costituenti nell'immediato Dopoguerra». Discorso da leader, accoglienza da leader. Peccato che Berlusconi sia un Cavaliere dimezzato a causa della decadenza votata da palazzo Madama il 27 novembre del 2013. Ma la questione non finisce qui, per l'ex premier. Il quale guarda con apprensione a Strasburgo, sede della corte europea che potrebbe ridonargli onorabilità ed eleggibilità. Strasburgo s'è sempre mossa con disarmante lentezza ma a infastidire il Cavaliere è l'atteggiamento del governo. Lo Stato italiano, infatti, proprio in questi giorni avrebbe dovuto spedire alla Corte una contro-relazione sul caso. Ma palazzo Chigi ha chiesto agli eurogiudici una proroga di un mese per presentare il proprio dossier, tenendo ulteriormente il Cavaliere sulla corda. Proroga concessa

venerdì 18 novembre 2016

“C’E’ SOLO UN LEADER: E’ RENZI. E POI CI SONO IO….”


Dietro l’endorsement pro premier c'è il disegno di Berlusconi di riprendersi la coalizione: «Se vince il No sarà Matteo che dovrà fidarsi di me»

Dopo quel riconoscimento a sorpresa, suonato, ma solo in apparenza, quasi un endorsement, a Matteo Renzi riconosciuto come l'unico leader su piazza, del quale ha ammesso anche il diritto di mandare la lettera agli italiani all'estero, facile e prevedibile l'esultanza dei sostenitori del Patto del Nazareno, un partito però spesso più di carta, che fatto di politica reale. E facili i retroscena di chi vede nella mossa di Silvio Berlusconi un modo per ingraziarsi il governo che deve ancora esprimere il suo parere alla Corte europea di Strasburgo dove l'ex premier ha fatto ricorso contro la sua incandidabilità. Prevedibile anche che si mettano di mezzo i problemi delle aziende e quelli relativi alla quota di Mediolanum detenuta da Berlusconi che la Bce ha congelato. Ma il punto è che Berlusconi a Rtl ha detto che in campo ci sono solo due leader: Renzi e lui medesimo. Non a caso il capogruppo leghista al Senato Gianmarco Centinaio subito reagisce ricordando la leadership di Salvini. Certo, la sottolineatura di Fedele Confalonieri sul fatto che «Renzi gli somiglia un po», si presta a rialimentare tutti i più prevedibili retroscena, schiacciati sul lato aziendale, persino quello secondo il quale Berlusconi ora sarebbe per il Sì (mentre ribadiscono i suoi è convintamente per il No) e il solito che vede in Renzi il suo erede. di leader veri dentro la politica ce n'è uno solo ed è Matteo Renzi», il Cav però aggiunge che c'è poi lui medesimo e «fuori dalla politica». Notazione che di fatto non può non ammiccare ai tanti, soprattutto agli elettori anti-sistema di Grillo, ritenuto il nemico numero uno. Ragione per la quale ha voluto, almeno per ora, liquidare Stefano Parisi per ricucire con Matteo Salvini che non vuole regalare ai populisti. Dice il leader azzurro, parlando in terza persona: «Fuori dalla politica forse di leader veri ce n'è qualcuno, ma dalla politica è stato buttato fuori». E su Salvini: «Spero che la Lega possa aderire a una coalizione con noi e che l'unica forza populista in Italia sia quella dei Cinque Stelle». Apre al leader leghista e alla leader di F. d'I Giorgia Meloni, che con il capogruppo alla Camera Fabio Rampelli aveva lanciato per prima le primarie di coalizione. Il Cav ora non

“DOPO LA BREXIT E TRUMP L’ITALIA SARA’ LA PROSSIMA?”


Il Wsj analizza il dopo referendum. E accanto agli scenari catastrofisti per una vittoria del No ammette: "In Italia l'instabilità politica non è insolita"
un articolo intitolato "Dopo Trump e Brexit, tutti gli occhi soono puntati sul referendum costituzionale dell'Italia", il Wall Street Journal mette sotto la lente d'ingrandimento l'apountamento del 4 dicembre e lo scossone che potrebbe travolgere Matteo Renzi. "È la prossima opportunità per gli elettori di una grande economia di dare uno scossone all'establishment".
Nel peggiore degli scenari, per il Wall Street Journal, "una sconfitta per Renzi porterebbe a un periodo di instabilità politica" e "i mercati interpreterebbero la sua sconfitta come una prova che Roma è incapace di riforme, sollevando dubbi sul fatto che l'Italia possa mai avere l'abilità di realizzare il tipo di crescita necessario a portare il suo debito pari al 135% del pil verso la sostenibilità". È lo spauracchio della finanza e dei poteri forti per piegare il voto degli italiani. Un tentativo che ad oggi sembra non riuscire. I sondaggi confermano, infatti, che il No resta nettamente in vantaggio. D'altra parte anche la vittoria di Trump alle elezioni presidenziali avrebbe dovuto essere accompagnata dal crollo dei mercati globali. Così non è stato. La tenuta delle Borse all'indomani del trionfo del tycoon è stata interpretata dagli analisti come uno step di esperienza accumulato dopo la vittoria del "Leave" al referendum inglese. La Brexit, insomma, ha fatto scuola. Il Wall Street Journal, così come altre agenzie di rating, cerca invece di spaventare gli italiani paventando l'Armageddon in caso di vittoria del fronte del No. A suop dire la bocciatura delle riforme costituzionali potrebbero essere l'evento catastrofico capace di sommergere tutto con l'onda alta del panic selling. Creando con le conseguenze di questo scenario, secondo gli analisti del Wall Street Journal, "un'impressionante ricaduta politica che potrebbe portare il profondamente euroscettico e antiestablishment Movimento 5 Stelle al potere nel 2018, mettendo in dubbio l'adesione all'euro dell'Italia". L'articolo sottolinea, tuttavia, che "c'è un punto di vista alternativo, secondo cui il referendum non importa affatto. Di certo ci potrebbe essere un periodo di instabilità politica, ma l'instabilità politica non è decisamente insolita in Italia", scenario in cui "anche se Renzi presentasse le dimissioni, il presidente insisterebbe perché restasse".


giovedì 17 novembre 2016

SPUNTA NUOVA TASSA SULLA CASA: POI RENZI CI RIPENSA. A DOPO IL REFERENDUM……..


Una nuova imposta sugli immobili. L'emedamento, ammesso all'esame in commissione Bilancio, è stato presentato da ventiquattro dem e punta a istituire un'imposta municipale sugli immobili che sostituisca l'imposta municipale propria (Imu) e il tributo per i servizi indivisibili (Tasi). Già il nome è tutto un programma: Imi. La selva di polemiche, che si sono riversate sul Pd, ha obbligato il partito di Matteo Renzi a fare retromarcia e ritirare l'emendamento. Una nuova imposta, un nuovo balzello per stangare gli italiani. L'emendamento del Pd alla legge di bilancio, a prima firma Maino Marchi, chiede di sostituire l'Imposta municipale unica (Imu) e il tributo per i servizi indivisibili (Tasi) con l'Imposta municipale sugli immobili. L'Imi, questo l'acronimo della nuova imposta proposta dai democrat, si applicherà in tutti i Comuni del territorio nazionale, ferma restando, per le Province autonome di Trento e di Bolzano, la facoltà di modificarla. "L'emendamento sulla unificazione di Imu e Tasi fa due cose - commenta il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa - da un lato conferma quello che abbiamo sempre detto, e cioè che la Tasi non è una tassa sui servizi ma una patrimoniale, così come lo è l'Imu. Dall'altro - continua - aumenta la tassazione sugli immobili". Il limite massimo ordinario della somma delle aliquote di Imu e Tasi, infatti, è del 10,6 per mille. L'emendamento, invece, lo porta all'11,4 per mille. Misura, quest'ultima, che nel 2015 era stata ammessa solo in presenza di corrispondenti detrazioni sulla prima casa - quindi senza aumenti di tassazione - e che per il 2016 è stata inopinatamente confermata, senza condizioni, solo per alcuni Comuni, così come fa per il 2017 il ddl bilancio, con scelta già contestata da Confedilizia. "Ci aspettiamo che questo aumento di imposizione sugli immobili non faccia strada - conclude Spaziani Testa - le tasse su case, negozi e uffici vanno drasticamente ridotte. Con questo emendamento verrebbero addirittura aumentate". Le polemiche sono tali che alla fine il Pd deve fare retromarcia e ritirare l'emendamento. "Non vogliamo che ci siano dubbi o strumentalizzazioni, per questo lo ritiriamo", si limita a commentare Marchi. "Siamo al festival dell'emendamento - prende le distanze Renzi - oggi ce ne era uno in cui l'Imu diventava Imi. Siamo al 'compro una vocalè di Mike Bongiorno e io me ne intendo...". Ma, al di là del tentativo di smarcarsi, resta il tentativo del partito del premier di stangare (ancora una volta) gli italiani sulla casa. A dopo il referendum.


IL VERO ALLEATO DI BERLUSCONI UN GIUDICE DONNA


Deve essere una sorta di pena del contrappasso. Costretto per tutta la sua carriera politica a difendersi dalle toghe (e un po' anche dalle donne), Silvio Berlusconi si ritrova ora nella non invidiabile posizione di dover tifare per un giudice. Donna. Il sostituto pg della Cassazione, Francesca Ceroni, ha infatti chiesto di accogliere il ricorso dell'ex premier e di rivedere, al ribasso, l'assegno di mantenimento versato nei tre anni di separazione a Veronica Lario prima della sentenza di divorzio. La richiesta è stata presentata davanti alla prima sezione civile della Suprema Corte, chiamata a confermare o meno la sentenza con cui, nel 2014, la sezione famiglia della Corte d'Appello di Milano ridusse da 3 a 2 milioni di euro l'assegno di mantenimento per l'ex moglie di Berlusconi relativo al periodo di separazione della coppia. La decisione dei supremi giudici si conoscerà entro un mese, con il deposito della sentenza e delle sue motivazioni, come accade per tutte le cause civili. Berlusconi, che ha divorziato da Veronica Lario nel febbraio 2014, ha anche impugnato, davanti alla Corte d'Appello di Milano, il provvedimento con cui il tribunale di Monza ha stabilito a favore della sua ex moglie un assegno di divorzio di un milione e 400mila euro. La decisione dei giudici di secondo grado è attesa entro la fine di quest'anno.


mercoledì 16 novembre 2016

CLANDESTINI IN AMERICA…….


 O voi che vi disperate per la volontà espressa da Trump di deportare 3  milioni di clandestini. Sapete quanti ne ha deportati dal 2009 al 2015 il vostro idolo Obama? 2,5 milioni. E sapete quanti ne hanno arrestati nei primi 10 mesi del 2016? 600.000. Però, immagino, questo non vi sconvolgerà. O sì?

 



GOZI RIPROPONE MINACCIA SPUNTATA SU VETO BILANCIO, STUDI NORME


Renato Brunetta - Dopo le balle del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che minaccia di mettere il veto sul bilancio Ue se l’Europa non gli dà quello che vuole in termini di possibilità di fare deficit per distribuire mance e mancette agli italiani e comprarsi il consenso, il sottosegretario Sandro Gozi cerca di correggere il tiro, dicendo che non si tratta del bilancio pluriennale che, come abbiamo ricordato già a Renzi, è l’unico che si approva all’unanimità ma non se ne parlerà prima della scadenza di quello attualmente in vigore, vale a dire nel 2020, bensì del voto sui bilanci annuali all’interno del quadro pluriennale. Ma anche in questo caso la minaccia è spuntata, perché il voto è a maggioranza semplice, quindi la posizione contraria dell’Italia non ne bloccherebbe l’approvazione. Gozi, invece di girare il mondo a far propaganda per il Sì al referendum, studi le norme che dovrebbero essere alla base del suo lavoro di sottosegretario e si aggiorni prima di difendere senza se e senza ma il suo presidente del Consiglio. Capiamo la lealtà ma c’è un limite di decenza e competenza.


TERREMOTATI, ERRANI NON CONTATE TROPPO SU QUELLE CASETTE………..


Dopo averle promesse fin dal primo giorno, averle previste prima di Natale, poi entro sette mesi, poi averle fatte slittare perché non si sa quando, le famose casette di legno per i terremotati rischiano di diventare sempre più un miraggio. Lo si è capito bene negli incontri che il commissario alla ricostruzione, Vasco Errani e il capo della protezione civile, Fabrizio Curcio stanno facendo con le migliaia di sfollati dai paesi messi ko dal primo, dal secondo e dal terzo terremoto. Errani e Curcio valutano le nuove esigenze, cercano insieme alle altre istituzioni coinvolte nel tour (presidenti di Regione e sindaci) di disincentivare il più possibile la richiesta dei prefabbricati in legno. Primo perché non costerebbero poco (fra 60 e 80 mila euro ciascuna) e sarebbero una soluzione provvisoria. Secondo, perché gli ordini fin qui non sono stati fatti a regola d’arte, le esigenze sono aumentate, e i tempi di consegna ritardati. Si rischia quindi più che di risolvere situazioni, di creare nuovo malcontento fra i terremotati, e soprattutto fra quelli restati senza casa a fine agosto che ormai da mesi viaggiano da nomadi fra un ricovero e l’altro. L’ultimo incontro di Errani è stato con i terremotati di Arquata, e ha lasciato molti a bocca aperta. Il commissario infatti è un politico e per certi versi ha fatto il suo comizio, raccontando cose che alla gente non importavano nulla. “Ecco, questo passaggio con l’ipotesi che fra chi aveva davanti ci fosse pure qualche imbroglione, ha dato l’impressione ai più che quelle casette in legno potranno sognarsele. Ma Errani voleva da buon politico parlare di sé, della sua credibilità: “C’è un patto di lealtà, di corrispondenza fra di noi. E se io non rispetto uno di questi patti voi siete autorizzati a dirmi che sono una persona poco seria”. Errani ha garantito che al 100% verrà ricostruito tutto. Ma ha fatto presente che non sa dove verrà ricostruito: “dovremmo fare una valutazione anche dell’assetto idrogeologico del sistema”. Per la ricostruzione, di cui non sono stati forniti i tempi, Errani ha spiegato la procedura: si dovrà attingere a una lista di professionisti e a una di imprese verificate da Anac e in regola con la certificazione antimafia. Poi bisognerà che “i professionisti facciano un contratto professionale con ciascuno di voi, nel quale deve esserci scritto quando presenterà il progetto all’ufficio della ricostruzione.che li valuterà”. Se ci sarà l’ok “voi dovete portare il progetto in banca. Voi non dovete tirare fuori un euro. Se qualcuno ve lo chiede, segnalatelo ai carabinieri. Portate il vostro progetto alla banca, è la banca pagherà all’impresa gli stati di avanzamento. Solo con lavori fatti”.