Tra i due Mattei scegliamo quello
della Lega. Meglio le felpe della volpe.
Le prime, una volta indossate, si piegano e si
rimettono nell’armadio. Le seconde – come ha più volte ricordato il presidente
dei deputati Renato Brunetta parafrasando Craxi – “finiscono in pellicceria”.
Scegliere le felpe del , però,
Matteo leghista non vuol dire indossarle.
Ognuno ha il suo abito e il suo habitat.
metta pure le felpe, noi preferiamo
Salvini il doppiopetto di Berlusconi.
Rispettiamo chi insegue il tema del momento, ma
siamo anche convinti che un solido progetto di governo si fondi sulla guida
prima che sull’inseguimento, su una visione organica prima che estemporanea.
Felpe e doppiopetto possono convivere, certo. Ma
non a tutti i costi.
La nostra identità è e rimarrà
convintamente contrassegnata dall’adesione ai valori del di cui, da Partito
Popolare Europeo sempre, rappresentiamo l’anima più popolare e meno populista; all’interno del quale ci
battiamo da sempre (anche a caro prezzo) contro le derive nordiche ed
egoistiche della Merkel.
Al di là del dibattito da fashion blogger su
felpe, camicie, giacche e accessori di sorta sarebbe opportuno tornare alla realtà
e capire quale grave errore sarebbe cambiare le squadre che hanno vinto
governando bene regioni come il Veneto e la Campania.
“Impostare il confronto sulle prossime
alleanze per le regionali come un continuo ultimatum a Forza Italia – ha
osservato ieri la responsabile della comunicazione di Forza Italia, Deborah
Bergamini –
è il modo peggiore per avviare un percorso che riporti insieme tutte le forze
del centrodestra e per organizzare un’alternativa valida alla sinistra di
Renzi. Tutto ciò non rende merito alla nostra storia né alle aspettative dei
nostri elettori”.
Ha ragione Bergamini. La ricerca dell’unità del
centrodestra, la comune sensibilità di Forza Italia e Lega Nord su quali siano
le priorità (tasse e sicurezza), non rappresentano un vincolo ad allearsi a
tutti i costi. La ricerca dell’unità a cui sta lavorando Forza Italia non è un
vincolo.
Nessuno si illuda di poterci indurre
ad accettare compromessi al ribasso o indossare abiti che non ci appartengono.
E se i niet ideologici dovessero prevalere sul
pragmatismo siamo anche pronti a correre da soli.
L’asso nella
manica, in fondo, ce lo abbiamo noi. Si chiama Silvio
Berlusconi.
Quel Berlusconi capace di essere federatore
del centrodestra(anche
a costo di sacrificare spazi per sé e per il proprio partito) che in pochi mesi
seppe passare dal 7% al 30%.
Quel Berlusconi che quando gioca per la propria
squadra anziché allenare la propria coalizione fa
guadagnare punti su punti a Forza Italia.
Quel Berlusconi che negli anni di governo ha creato
1.440.000 posti ,
fatto registrare una media della disoccupazione inferiore di lavoroalla media europea
(Eurostat), che ha sempre tagliato le tasse sulla , che ha sempre creduto
nel primato della casa e sui risparmi sicurezza come premessa per il benessere.
Lo stesso Berlusconi, occorre ricordarlo, che
venne messo alla porta da una massiccia speculazione
politico-finanziaria in un momento in cui i dati macroeconomici del
nostro Paese erano decisamente migliore degli attuali.
Oggi l’Italia chiede speranza.
Dopo 4 anni di politiche fallimentari e presidenti
del Consiglio non eletti serve una coalizione che non perda tempo su questioni
teoriche o su petizioni di principio. Felpe o non felpe ci vuole realismo.
Ora che la partita con Renzi è definitivamente
chiusa, la si smetta di discernere sulle sfumature di grigio, rosso, blu, nero…
e si dimostri quella maturità e quel realismo che la situazione richiede. Noi
siamo pronti. Berlusconi è pronto.
L’ora della partenza è vicina. Chi
deve arrivare arrivi, altrimenti partiamo. Anche da soli.
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