Due milioni 800 mila disoccupati in totale, oltre
il 35 per cento dei giovani senza lavoro, quasi tre milioni di precari. In
percentuale, il 10,7 degli italiani: il 2,5 per cento in più di un anno fa,
quando c'era il governo Berlusconi e la crisi infuriava già da tre anni. Allora
i senza lavoro erano l'8,2 per cento, una delle più basse percentuali d'Europa.
Un peggioramento che per chi ha meno di 24 anni schizza addirittura al 7 per
cento. Sono i risultati di quasi un anno di governo Monti forniti dall'Istat.
Non è solo colpa dell'esecutivo, sia chiaro: l'intero Occidente è in
recessione. Ma in Italia la disoccupazione aumenta in maniera più acuta, e tra
i giovani siamo dietro solo a Spagna e Grecia. Eppure fra gli impegni dei
tecnici c'era una riforma del mercato del lavoro che doveva portare più
occupazione, non bloccarla. Così come una legge ancora più liberalizzatrice,
rispetto a quanto già previsto dalla riforma Biagi, era contemplata tra le
richieste inviate a Roma dall'Unione europea e dalla Bce. Al contrario, la
cosiddetta riforma Fornero, pur non essendo ancora stata attuata in nessuna sua
parte, ha prodotto con il solo effetto annuncio il risultato di ingessare
l'ingresso nel mondo del lavoro senza frenare l'uscita. Ha previsto lo
smantellamento di una serie di benefici che noi avevamo destinato ai giovani
con la flessibilità in entrata, distruggendo al tempo stesso la rete di
protezioni sociali e di ammortizzatori che i nostri governi avevano sempre
tutelato in collaborazione soprattutto con Cisl e Uil. Intanto i tavoli di crisi
aziendali sono ormai 150 - dall'Alcoa all'Ilva, dalla Carbosulcis a Termini
Imerese, dalla Natuzzi a Windjet - senza che il governo riesca a fornire
impegni concreti e tanto meno a convincere le aziende a mantenere gli
investimenti in Italia; figuriamoci ad investire nuovi capitali.
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