IL CONSIGLIO E’: NON SCOMETTETE OGGI SUL RISULTATO. PERCHE’ DA QUI A GENNAIO SE NE VEDRANNO ANCORA DELLE BELLE
Quando il cielo viene squarciato dai fulmini, non
sempre arriva la pioggia. Così come in politica, quando ci sono levate di
scudi, polemiche e qualche braccio di ferro, non sempre si arriva a sfasciare
partiti, movimenti, maggioranze o anche governi. Discutere, anche animatamente,
fa parte della normale dialettica politica. In realtà chiunque litiga, anche le
coppie più solide, ma non è detto che si arrivi al divorzio. È forse quello che
sta accadendo in queste settimane, e in particolare negli ultimi giorni, nel
centrodestra italiano. Sarebbe sciocco negare che il ritorno in campo di
Berlusconi (alzi la mano chi l’aveva dato ai giardinetti) non ha creato
malumori interni alla coalizione, se non addirittura all’area. Ma in un Paese realmente
democratico, sarebbe delittuoso negare a chi ha suonato e portato la croce da
solo con gli elettori per vent’anni, di poter correre per l’ultima volta dopo
aver subito l’onta di una cacciata a furor di popolo nonolstante il più largo
successo elettorale della storia repubblicana. Oltretutto, a volere il passo
indietro del Cavaliere sono uomini politici che hanno saputo raccogliere affermazioni
importanti in questi venti anni di impegno politico, ma che senza di lui
difficilmente avrebbero sfondato il muro del 5% dei consensi. A livello nazionale,
così come a livello locale. Premesso questo, il loro grido d’allarme non va
comunque sottovalutato. Perché il dissenso di cui si fanno portatori sarà stato
forse raccolto nel contatto diretto con il territorio, con i cittadini. O forse
sarà stato raccolto nel contatto con quel pezzo di società civile e
imprenditoriale che compone da sempre lo zoccolo duro dell’elettorato moderato.
Da qualunque angolatura si guarda lo scenario, tutti gli appelli non devono
finire nel nulla. È ovvio, però, che alla fine servirà una sintesi.
Berlusconi la sua non l’ha ancora fornita. Può
sembrare che stia giocando al gatto col topo, ma credere che i suoi siano
tentativi disperati, è come ammettere di non conoscerlo appieno. L’ex
premier sembra che abbia un grosso tarlo in testa, quello di far uscire allo scoperto
quelli che, pur facendo parte della sua area politica, o anche del suo stesso movimento
politico, in questi mesi hanno esultato per la caduta del suo governo, hanno
gioito per la sua assenza e si sono fregati le mani quando ha annunciato il suo
passo indietro via videomessaggio agli italiani.
Mutuando una terminologia calcistica, l’allenatore
vuole conoscere i nomi dei giocatori che non si impegnano per ottenere dalla
società il suo esonero. Tradotto: Berlusconi vuole sapere chi sta lavorando (o
non lavorando, è lo stesso) per mandarlo a casa. Alcuni hanno avuto almeno il
coraggio di uscire allo scoperto, come Crosetto, Meloni, Frattini, Cazzola e
Malgeri. Altri, invece, si sarebbero spinti fino a sussurrare alle orecchie dei
poteri forti qualche piccante retroscena politico imbarazzante del Cavaliere
(vedi ad esempio Mario Mauro, almeno stando alle ricostruzioni giornalistiche).
C’è poi il capitolo degli scontenti. Quelli, cioè, che sarebbero pure disposti
a sostenere nuovamente Silvio nella corsa a Palazzo Chigi, ma prima vogliono
capire quale ruolo spetterebbe loro in caso di successo, dopo essere stati messi
ai margini del potere per ragion di coalizione. Questa speciale categoria appartiene
principalmente allo zoccolo duro di Forza Italia 1994, e solo in risibile in
parte è frutto della fusione con An che ha dato vita al Pdl. Sono loro il vero
ago della bilancia. Il contrappeso importante per rilanciare lo spirito del
movimento, perché ancora oggi animati dagli stessi sentimenti di vent’anni fa,
ma che per una ragione o per l’altra, sono finiti a passare carte in via
dell’Umiltà, anziché sedersi al tavolo da gioco di Montecitorio, Palazzo Madama
e compagnia bella. Sono disposti a dare ancora l’anima, ma stavolta non per un
tozzo di pane. E sentire che il rinnovamento non parte dalla loro
“convocazione” in prima squadra, certamente non aiuta l’allenatore in
difficoltà con lo spogliatoio.
C’è anche un’altra area in cui si concentra una
fetta di voti utili alla vittoria. È quella del nuovo Centro. Sono i
montezemoliani, i casiniani, i pisanuiani. Nessuno di loro può essere
considerato un “volto nuovo”, ma a volte il botox politico può fare miracoli. Soprattutto
se qualche ministro di Dio intercede per loro con il gregge di pecorelle
smarrite…
Da loro, sebbene contino non più dell’8%, non si
può proprio prescindere. Nell’area ci devono essere, altrimenti non si va da
nessuna parte. Lo ha ammesso anche Bersani, che come Peppone è pronto a mettere
in soffitta la vecchia anima comunista, pur di abbracciare finalmente i Don
Camillo della Seconda Repubblica. Sono parte di quei di poteri forti che ancora
oggi oliano o asciugano i meccanismi della macchina politico-istituzionale, a
seconda del momento e della persona. Sono i figli del mito di De Gasperi, ma
che – per dirla alla Indro Montanelli – fanno come Andreotti. Per capire basta
ricordare la frase del mitico giornalista scomparso negli anni Novanta:
“De Gasperi e Andreotti andavano insieme a messa e tutti credevano che
facessero la stessa cosa. Ma non era così: in chiesa De Gasperi parlava con
Dio, Andreotti con il prete. I preti votano, Dio no”.
Infine c’è l’area dei bombardieri. Sono
berlusconiani pronti a morire per il Cavaliere, perché sanno che se a morire
fosse lui, loro lo sarebbero di riflesso. È un po’ machiavellico come concetto,
ma ha fondamento politico. Perché si tratta di personaggi che hanno avuto un
ritorno di immagine, dall’azione di Berlusconi, talmente forte da esserne
rimasti prigionieri. Ergo: se si spegne la luce del leader, anche loro che sono
le lampadine finiscono nuovamente al buio. E questo significa la fine dei
giochi di potere. Inaccettabile, per chi al di fuori di Berlusconi non ha
null’altro.
Ecco, l’ex premier deve fare una sintesi di
tutte queste anime. E non è un esercizio mentale e fisico facile.
E Monti in tutto questo dov’è?, vi starete
chiedendo. Presto detto: il Professore, per restare nel campo
dell’elettrotecnica, sarebbe la prolunga che tiene ancora accesa la fonte di
luce (Berlusconi) e il resto della rete elettrica (scontenti, poteri forti,
bombardieri). Se lui accettasse il ruolo di candidato premier, il Cav avrebbe
la possibilità di tessere la tela che tiene insieme l’area moderata, come ha
fatto fin dal primo giorno del suo impegno in politica.
La contemporanea presenza di Monti e Berlusconi
al vertice di Bruxelles del Ppe potrebbe essere un segnale distensivo tra i
due, che apre le porte all’accordo. Oppure il passo decisivo del Professore per
una sua discesa in campo. E come esordio, rubare la scena al Cavaliere tra i
popolari europei, sarebbe stato un gran colpo per l’attuale premier italiano.
Ma in politica nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma. E anche
se si votasse a metà febbraio ci sarebbe tutto il tempo per mischiare e rimischiare
le carte. Il consiglio è: non
scommettete oggi su un risultato. Perché da qui a gennaio se ne vedranno ancora
delle belle.
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