La battuta è rubata a un collega: che l'ex Pds
finisca in mano a un magistrato, a 25 anni da Mani Pulite, sembra il finale
perfetto. Ciò detto, Michele Emiliano
non si è mai dimesso dalla magistratura e non è chiaro se a indignare
dovrebbe essere questo (che tenga i piedi in due scarpe) o il fatto che i
colleghi del Csm si siano svegliati solo ora, a 13 anni da quando il problema
cominciò a porsi: Emiliano ha fatto in tempo a essere eletto prima sindaco a
Bari (dal 2004 al 2014) e poi presidente della Puglia (dal 2015 a oggi) con una
parentesi da assessore a San Severo (2014) che non lo costringesse a rimettersi
la toga.
Anche la grande stampa, pur ricordando con distrazione questo macroscopico dettaglio,
non ne ha mai fatto una gran questione - non la fa neanche ora - come invece è
accaduto per altri: si pensi a tutta la telenovela di De Magistris e Antonio Ingroia, per dire. Morale: Emiliano non si è
mai dimesso, anche se la legge 109 del 2006 dice che nessuno può impedire a un
magistrato di candidarsi - ovvio - ma che costui non può fare militanza in un
partito, ergo non può ricoprire incarichi di segretario e presidente del Pd
pugliese. E’ ciò che ha fatto Emiliano, prendendo peraltro la tessera. E perché
non può? Perché altrimenti va a ramengo qualsiasi obbligo di sembrare
indipendenti, ovvio anche questo.
Morale, la Procura generale della Cassazione ha
ravvisato un illecito disciplinare (ufficialmente il procedimento è del 2014) e
proprio in questi giorni dovrebbe chiederne conto a Emiliano: dopo 13 anni, e
coi tempi che la nostra giustizia sa darsi. Emiliano avrebbe violato
«l'esercizio indipendente e imparziale della funzione giudiziaria» che vale per
i magistrati «collocati fuori del ruolo organico». Non basta? C'è anche la
sentenza n. 224 della Corte Costituzionale (2009) che a sua volta doveva
imporre ai neopolitici di togliere la toga, ma in tutta risposta Emiliano
partecipò alle primarie del Pd.
Che facciamo, ci indignamo? Fino a un certo punto,
perché Emiliano non è solo. In Parlamento, per esempio, ci sono altre nove toghe che non si sono mai dimesse:
da Donatella Ferranti a Felice Casson, Doris Lo Moro, Anna Finocchiaro e Stefano Dambruoso. Al Viminale c'è un amico di
Renzi, Domenico Manzione; a
Strasburgo c'è la piddina Caterina Chinnici
che era già stata in giunta nel centrodestra siciliano di
Raffaele Lombardo. Tra i più noti c'è Cosimo
Ferri, ex leader di Magistratura indipendente e autentico pendolare tra toga e
politica. Altre toghe, sparse nelle amministrazioni locali, sono o sono state
Giuseppe Narducci a Napoli, Lorenzo Nicastro con Vendola in Puglia, Giovanni
Ilarda e Vania Contrafatto in Regione Sicilia. Occorre ricordare - se proprio
vogliamo indignarci un pizzico – che questi magistrati–politici sono stati
giudicati, in tutti questi anni, «imparziali e indipendenti», e hanno fatto
scatti di carriera proprio in quella magistratura che non frequentano più:
ergo, hanno maturato aumenti di stipendio e di pensione. E' noto il record di
Anna Finocchiaro, fuori ruolo da 29 anni e però nel frattempo promossa per ben
7 volte (il massimo) come se avesse continuato a lavorare in procure e
tribunali, i quali invece ha frequentato solo dal 1981 al 1987. Il Csm ha
certificato «l’indipendenza, imparzialità ed equilibrio» ma anche «capacità,
laboriosità, diligenza e impegno dimostrati nell’esercizio delle funzioni
espletate», anche se non le ha espletate. Poi ci sono gli altri. Doris Lo Moro
è fuori ruolo da 18 anni, ma ha fatto 4 scatti di carriera. Felice Casson ha
tolto la toga da 11 anni, ma aspetta la pensione seduto in Senato.
Che fare? Alla commissione giustizia della Camera,
a prendere polvere, c'è un bel disegno di legge che vorrebbe appunto dare una
regolata agli ingaggi delle toghe in politica: ma chi la presiede la
commissione? Risposta: la piddina Donatella Ferranti, formalmente magistrato da
18 anni che intanto ha maturato tutti gli avanzamenti e gli scatti possibili.
Dovrebbe promuovere una legge che impedisca di fare quello che ha fatto lei,
che sta facendo lei. Un tempo lo chiamavano conflitto di qualchecosa.
Libero 22 febbraio 2017
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