Incontro in
treno - Selfie con i fan, battute su Renzi e messaggi ai giudici di Strasburgo:
“Io potrei tornare ad essere il candidato alla Presidenza del Consiglio"
di Davide Vecchi | “Anche questo treno
l’ho fatto io: abbiamo modernizzato l’Italia”. Silvio Berlusconi non
cambia mai. Ma tutti i torti non li ha: il suo governo diede il via libera all‘Alta
velocità e fu lui a inaugurare il Frecciarossa sul primo Milano-Roma il 29
marzo 2009. Col berretto da capotreno trasformò l’occasione per dare
spettacolo. Battute, gag e quell’“andate più piano” scandito ironicamente ai
macchinisti superati i 300 chilometri orari. Poteva essere spensierato.
All’epoca. Da quel marzo di otto anni fa è cambiato tutto. Fronte politico,
aziendale, familiare, di salute. Condannato in via definitiva, decretato
ineleggibile, divorziato a suon di milioni, costretto a cedere parte delle sue
società, più volte ricoverato per diversi interventi, ultimo quello al cuore.
Insomma: dovrebbe essere un uomo stanco e privo di entusiasmo, come raccontano
i suoi avversari politici. Invece, a vederlo, nulla sembra più falso. “L’è
semper lù”, dice un milanese andandosene soddisfatto dopo aver scattato un
“selfie col presidente” e telefonando alla moglie per comunicarle l’epocale
evento. Un incontro fortuito. Inatteso. Incontro che avviene proprio sul
Frecciarossa. Là dove non ti aspetti di trovarlo. O lo immagini blindato dalla
scorta e inavvicinabile. Invece è lì, sempre a caccia di contatti umani
per vincere la solitudine. La notizia, buona o cattiva che sia a seconda dei
gusti, è che è vero: “l’è semper lù”. Berlusconi da tempo ha lasciato aerei e
auto blu, si muove tra Milano e Roma sui treni ad alta velocità. “In meno di
tre ore arrivo da Roma a Milano e nel frattempo posso lavorare, discutere con i
miei collaboratori o scambiare qualche parola con gli altri viaggiatori. È un
piacere e il contatto con le persone è sempre importante”. Nel vagone ci sono
una decina di persone. Lui gigioneggia. Racconta storielle, pettegolezzi,
aneddoti. Si lascia fotografare. Canticchia divertito le ultime canzoncine
su Matteo Renzi e Maria Elena Boschi che gli arrivano sul telefono. “Questa
è sulle note di Pippo non lo sa”. Sembra in gran forma. Pronto magari anche a
ricandidarsi premier, se – come lui continua a ripetere – la sentenza della
Corte di Strasburgo gli restituirà lo status di eleggibile. Il centrodestra
senza di lui ha perso la sua compattezza e veleggia diviso, lontanissimo dal Pd
e dai 5 Stelle. Proviamo a chiederglielo, ma lui ha la fissa di Strasburgo. “La
sentenza europea non riguarda un qualunque cittadino europeo, che comunque
avrebbe diritto a ottenere giustizia in tempi accettabili”. La prende larga.
“Dalla sentenza dipende non solo il giudizio sulla storia italiana degli ultimi
anni, ma anche il futuro della democrazia in un importante Paese europeo come
il nostro. Per questo i tempi della sentenza devono tener conto delle prossime
scadenze elettorali”. Si ricandiderebbe o no?
“Solo dopo una sentenza che cancelli la mia
incandidabilità io potrei tornare ad essere il candidato alla Presidenza
del Consiglio. Credo che il centrodestra con l’esperienza unita al necessario
rinnovamento, con un programma serio e condiviso, sia l’unica possibilità per
l’Italia di uscire davvero dalla crisi. Il Pd ha fallito e i 5Stelle sono un
pericolo, non una soluzione”.
Lo prendiamo per un sì. Ed è facile che lo
immagini anche Matteo Renzi. Il segretario del Pd ha una gran fretta di
andare a votare, avrà mica paura del suo ritorno in campo? “‘A pensar male si
fa peccato ma spesso ci si indovina’, diceva Andreotti, che però aveva una
visione cinica della politica che io non riesco ad avere. Io mi ostino a
credere nella buona fede delle persone”. Lei Renzi lo conosce bene, ormai… “E
preferisco continuare a pensare che sia piuttosto ancora una volta vittima
del suo carattere che spesso lo ha portato a scelte precipitose. Questo non
ha fatto bene né a lui né all’Italia”. Lei di votare subito non ne ha nessuna
voglia… “Una cosa dev’essere chiara: io credo che gli italiani, non solo Renzi,
abbiano fretta di tornare alle urne, dopo quattro governi non eletti dal
popolo. L’ultima volta che gli italiani hanno potuto indicare un presidente del
Consiglio è stato nel 2008, con il governo Berlusconi. Lo so che formalmente la
lettera della Costituzione non è stata violata, ma la sostanza e lo
spirito? Anche da questo nasce la sfiducia nella politica”. Sfiducia di cui
però si giova il Movimento 5 Stelle. Prospettiva che agghiaccia Berlusconi ben
più della rivittoria di Renzi: “Si rischia di consegnare il Paese a Beppe
Grillo”. E a consegnarlo è Renzi? Tra un selfie e una stretta di mano
volante a qualche passeggero, Berlusconi prova a cambiare argomento. Non vuol
parlare di Renzi, la rottura del patto del Nazareno gli brucia ancora: “Un
errore esiziale di Renzi”. Così come la decisione sul referendum
costituzionale. Due poli contro uno: “Non poteva vincere”.
Il treno è arrivato a Milano. E attorno a noi ci
sono quattro persone che hanno atteso di salutare “il presidente”. C’è chi lo
chiama così e parla di quanto grande fosse il suo Milan e chi gli chiede
di riprendere in mano Forza Italia: “Torni presto, ci manca”. Lui
sogghigna, ascolta e risponde a tutti. Di processi, indagini su Ruby e
olgettine non parla. Neanche se i suoi tifosi lo spronano: “I giudici ancora
non la lasciano in pace”. Lui evita, non si scaglia (più) contro le toghe e il
palazzo di Giustizia di Milano. Allarga le braccia, sorride e guarda in alto.
Verso il suo unico pallino: Strasburgo.
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