“Sono molto deluso
dall’astensione della Lega su Tajani. Serve una legge proporzionale. No alle
preferenze, sì ai collegi piccoli”.
Silvio Berlusconi tra il 1994 e il 2001 è stato
alla guida di quattro governi. Francesco Bei La Stampa
- Presidente Berlusconi, le celebrazioni del
60esimo anniversario dei Trattati di Roma colgono l’Unione in una crisi
potenzialmente fatale: i 27 divisi su tutto, con la Gran Bretagna che annuncia
una «hard Brexit» e Donald Trump che sembra voltare le spalle sia all’Ue che
alla Nato, considerando l’alleanza atlantica «obsoleta». C’è ancora una
possibilità per l’Europa?
«Il sogno europeo oggi è più attuale che mai. La
costruzione dell’Europa come è stata realizzata dai burocrati di Bruxelles invece
è fallita e sta suscitando crescenti reazioni di rigetto. Vede, il sogno
europeo è quello con il quale è cresciuta la mia generazione: era il sogno di
un grande spazio di libertà, economica, politica e civile; di pace e sicurezza
condivisa. Cosa ne è rimasto oggi? Una cosa, importante: la pace nel nostro
continente. Ma tutto il resto è svanito, si è dissolto. L’Europa deve
ripensarsi a fondo, oppure muore. Parola di un convinto europeista».
L’Ue ci
ingiunge di fare una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro. Il governo
sembra intenzionato a tenere duro, respingendo la richiesta di nuovi tagli e
tasse. Come sta operando Gentiloni nel rapporto con Bruxelles?
«In questa vicenda si sommano due torti, uno
europeo e uno italiano. Entrambi vanno al di là della
responsabilità contingente del governo Gentiloni,
che si trova a gestire una situazione che ha ereditato. Il torto dell’Europa è
quello di applicare un rigore burocratico e formalistico, che non tiene conto
né delle esigenze dello sviluppo, né delle particolari condizioni dell’Italia,
dall’emergenza profughi a quella dei terremoti».
Dunque
assolve Gentiloni e getta la croce su Renzi?
«Il governo Renzi ha impostato un bilancio in
deficit, quindi creando ulteriore indebitamento, non per fare investimenti o
per rilanciare lo sviluppo, ma per distribuire
promesse di denaro a pioggia in vista del referendum. Quel progetto è
fallito, ma sono rimasti i conti da pagare, per il governo Gentiloni e per
tutti gli italiani. Come si comporterà il nuovo esecutivo in questa difficile
partita è tutto da vedere: credo però che la scelta di evitare affermazioni
roboanti che poi non si è in grado di sostenere sia un apprezzabile segnale di
serietà».
Un’altra
crisi che sembra colpire sempre più duramente l’Italia è quella
dell’immigrazione clandestina. Il ministro Minniti suggerisce il doppio
binario: espulsioni per i clandestini, accoglienza e integrazione per chi ne ha
diritto. La convince questo approccio?
«L’approccio del ministro Minniti è corretto, ma
affronta solo la parte finale del problema. Quello che dovremmo chiederci non è
soltanto come gestire profughi e clandestini una volta arrivati in Italia: è
piuttosto come evitare che ci arrivino. Il mio governo aveva realizzato una
serie di accordi con i governi del Nord Africa, primo fra tutti la Libia di
Gheddafi, per fermare all’origine questo traffico di esseri umani. Purtroppo
sappiamo com’è andata. Se non si chiude questo flusso, se non riusciamo a
stabilizzare l’Africa e il Medio Oriente, allora il problema esploderà. E per
questo non bastano le forze dell’Italia, e neppure quelle dell’Europa. Occorre
una grande coalizione che veda protagonisti l’Europa, gli Stati Uniti, la
Russia, la stessa Cina, i Paesi Arabi moderati».
È iniziata
l’era Trump e gli Stati Uniti sembrano privilegiare rapporti diretti con la
Russia di Putin e con la Gran Bretagna, senza vincolarsi ai vecchi alleati
europei. Vede dei rischi nel nuovo approccio della presidenza Trump?
«Io da un lato vedo con molto favore il ritorno ad
una collaborazione con la Russia di Putin che per l’America e tutto il mondo
libero dev’essere un amico e un alleato, non certo un nemico. Dall’altro vedo
tutti i rischi di un ritorno all’isolazionismo. Sarebbe un grave errore, se
accadesse, sia per il mondo intero, ma anche per l’America».
Pochi giorni
fa, dopo decenni, un italiano è riuscito a conquistare la poltrona più
prestigiosa del parlamento europeo. Ma la Lega non ha votato Tajani. Se
l’aspettava?
«Sono rimasto molto deluso. Non credevo che la
Lega potesse essere indifferente nella scelta fra un moderato espressione del
centro-destra e un esponente del Pd sostenuto da tutta la sinistra. Faccio
fatica a capire, ma non voglio polemizzare: per me le ragioni dell’alleanza
sono più importanti».
Ormai non
passa giorno senza che Salvini non la attacchi personalmente. Che idea si è
fatto di questo martellamento?
«Immagino che Salvini si stia ponendo un problema
di leadership che è del tutto prematuro e che comunque non appassiona gli
italiani. Sono ben altri, e più concreti, i temi ai quali bisogna dare una
risposta: fisco, sicurezza, immigrazione, giustizia, infrastrutture. E comunque
le leadership non si misurano sulle polemiche, ma sul consenso».
Il
segretario del Pd le sembra cambiato? Ha capito la lezione del 4 dicembre?
«Me lo auguro per lui. Spero rifletta e impari
dalla sconfitta. Ma per ora non ho visto molti segni di cambiamento».
Quali sono
le linee guida che dovrebbero ispirare la nuova legge elettorale? Proporzionale
con un premio di governabilità al primo partito?
«È fondamentale che la nuova legge elettorale
consenta la massima corrispondenza fra il voto espresso dai cittadini e la
maggioranza parlamentare. Ogni distorsione in senso maggioritario, in uno
scenario tripolare come l’attuale, porterebbe al governo una minoranza contro
il parere dei due terzi degli elettori».
Collegi
piccoli o preferenze?
«Ritengo che le preferenze siano il peggior sistema possibile per
garantire una effettiva rappresentanza degli elettori. I candidati devono
piuttosto essere proposti agli elettori in piccole circoscrizioni, in modo che
i cittadini sappiano con chi hanno a che fare e dove cercarli dopo
l’elezione».
Il 26
gennaio ricorre il 23 anniversario della sua discesa in campo. Farà entrare
aria nuova in Forza Italia?
«Le rottamazioni non ci appartengono. Ma voglio
che almeno un terzo dei nostri candidati e dei nostri eletti per la prossima
legislatura siano persone che non hanno mai fatto politica, ma che abbiano
dimostrato in altri campi le loro capacità. Nei prossimi giorni rivolgerò un
appello alla “società civile”: apriamo le nostre liste a chi se la sente di
candidarsi».
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