Lui sì,
via. Lui non è indagato, resti. Ora è l’inverso. Prima si chiedevano e si
ottenevano dimissioni a tutto spiano al primo refolo di buriana giudiziaria.
Oggi per l’indagato conclamato si invocano giustamente - e finalmente- cautele
garantiste sino al terzo grado di giudizio. Così è la vita in questo
sgangherato Paese che ha distrutto carriere politiche con avvisi di garanzia e,
al contrario, adesso le supporta (e le sopporta) per interessi di governo
giustificando chi è sott’inchiesta e allontanando chi non lo è. Noi che
aborriamo i giustizialisti di carta e il giacobinismo di maniera non possiamo
che plaudire alla svolta sui «diversamente impresentabili» da considerare
innocenti fino al verdetto di Cassazione. Certo, la discrezionalità pelosa
sull’«opportunità politica» di cacciare questo o quello, ci convince poco
perché le regole della politica valgono per tutti, non si cambiano a seconda di
chi scende in campo e in più a partita iniziata. E tra quanti hanno sempre
giocato con regole proprie, c’è Nichi Vendola, comunista governatore delle
Puglie, noto dispensatore di patenti d’«inopportunità politica». Travolto dagli
scandali sanitari della sua regione, fotografato al ristorante col gip che
archivierà un suo procedimento, intercettato a ridere al telefono
nell’inchiesta sull’Ilva di Taranto, ha respinto con sdegno ogni sollecitazione
a dimettersi. Al contrario non ha perso occasione per chiedere ad altri di togliere
il disturbo: ad Alfano per la Shalabayeva, alla Cancellieri nel caso Ligresti,
alla Lanzillotta, all’ex ministro Idem e via così. Nessuno è mai stato
indagato, al contrario suo. Per dirla con Nietzsche «il non parlare mai di sé è
un'ipocrisia molto distinta».
Nessun commento:
Posta un commento