Alessandro
Sallusti- L'Italia della sinistra postcomunista e quella
renziana (al momento teniamo una separazione in attesa di giudizio) si
intestano il merito dell'Oscar di Sorrentino. Loro sì che sanno come si fa a
far trionfare il made in Italy. Ma tacciono colpevolmente due cose. La prima.
Il film è la presa per i fondelli del loro mondo, vuoto e ipocrita. La seconda
è ancora più ridicola. Perché chi ha permesso a Sorrentino di salire sul palco,
quello che - per citare i signori di cui sopra - non ha avuto paura di
allargare le sue ambizioni, di investire propri soldi, quello che va
ringraziato, quello che ha capito che il cinema è una risorsa e che ha
contribuito a fare vincere l'Italia ha un nome e un cognome volutamente assenti
dai loro commenti. Si chiama Silvio
Berlusconi, fondatore e azionista di maggioranza del gruppo Mediaset, la cui
controllata Medusa ha creduto nel progetto di Sorrentino, prodotto (insieme a
piccoli partner) e distribuito la pellicola. Scusate Renzi, Franceschini,
Vendola, Boldrini, Napolitano e soci: dire un grazie alla più importante e
prestigiosa azienda culturale privata del Paese, Mediaset, è chiedere troppo?
La risposta è scontata: troppo. Perché ammettere che Berlusconi, la sua
famiglia e i suoi manager (Carlo Rossella e Giampaolo Letta a Medusa) sono il
volano del migliore sapere italiano vuole dire sconfessare vent'anni di
linciaggio mediatico. Significa rinnegare i fischi di giornalisti e cinefili di
sinistra che alla mostra di Venezia accompagnano la vista del logo Medusa in
testa di pellicola (anche per questo alla scorsa edizione del festival Medusa
non presentò alcun film in concorso). Ci sono voluti gli americani, direi il
mondo intero, per riconoscere che Mediaset non è quell'associazione a
delinquere immaginata dai magistrati italiani. Oggi siamo orgogliosi di
Sorrentino, ma anche di Mediaset e di quel folle di Berlusconi che continua a
investire in un Paese così. E adesso, cari compagni, continuate pure a
fischiare Medusa e a spiegarci che cosa è cultura e come si fa: siete come le
patetiche caricature della Grande bellezza. Poca cosa.
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