Lo dice anche la teoria dei
giochi. O chi le attua è disposto ad arrivare fino alla guerra totale, o sono
un azzardo che vuol giovare solo a una parte. In questo caso l’America,
danneggiando non solo la Federazione Russa ma anche l’Europa e soprattutto
l’Italia
a teoria
LA NOSTRA MOZIONE: DALLA PARTE DELLE
IMPRESE
Analisi economica: con le sanzioni ci rimettiamo
più di tre miliardi. Questo governo finora non ha fatto altro che manifestare
un accanimento contro imprenditori e aziende (autoriciclaggio, falso in
bilancio, Tasi sull’invenduto). Cambiamo verso a questo governo
Non bisogna essere necessariamente filo-squinziani
per riconoscere che sussiste “un accanimento” non solo “fiscale sulle imprese”.
L’osservazione fatta dal patron di Confindustria a Santa Margherita Ligure,
all’assemblea dei giovani imprenditori. Questa continua discriminazione è
certificata da dati oggettivi, oltre che dalla risposta sprezzante di Matteo
Renzi a quelle critiche. “Si crea lavoro aprendo le fabbriche nelle
città, non aprendo la bocca nei convegni”. Risposta sbagliata sul piano
fattuale. Il problema vero non è aprire nuove fabbriche, ma arrestarne la
continua moria. Banca d’Italia, in un paper recente, ha dimostrato che
negli ultimi anni l’apparato manifatturiero ha visto scomparire quasi un
sesto della sua capacità produttiva.[1] Fenomeno che si è, fortunatamente,
attenuato. Ma non è ancora scomparso. Com’è dimostrato dal susseguirsi della
crisi di molti gruppi industriali. Si dice che il mercato, durante la crisi,
faccia pulizia. Darwinianamente elimina le strutture produttive più deboli,
liberando quelle risorse, umane e finanziarie, che poi possono essere impiegate
altrove. Favorendo il necessario processo di riconversione industriale che è il
modo normale per il sistema capitalista di progredire. Nel segno della continua
innovazione.
Silvio Berlusconi, nella
sua qualità di premier, si presentava alle grandi assise delle imprese
italiane, per quei confronti non sempre facili. Ma necessari, per sentire
il polso del Paese e rassicurare, pur nelle difficoltà economiche del momento.
Storie d’altri tempi. Invece di andare a Milano, Matteo Renzi preferì allora
farsi intervistare, la sera, da Virus e replicare da quella sede, nel
suo solito modo apodittico, alle critiche ch’erano state rivolte all’Esecutivo.
Per poi continuare come se niente fosse. Ed ancora oggi, a distanza da più di
un anno dal suo insediamento, resta il grande interrogativo. Qual è la linea
di politica economica del Governo? Che cosa si sta facendo per potenziare
gli impulsi che provengono dall’estero, ma la cui leva si indebolisce ogni
giorno che passa? Il prezzo del petrolio
sta risalendo, sulla
spinta di processi che hanno, al tempo stesso, una matrice di carattere
economico ed una tutta politica. La corsa al rialzo del dollaro sembra
essersi arrestata. Altro che rapporto “one to one” come preconizzato da
alcuni centri studi, sempre pronti a legare l’asino dove vuole il padrone. Gli
investimenti non riprendono. Cosa comprensibile. Se i consumi non crescono,
“investire e non sapere dove mettere le produzioni ovviamente non ha senso”.
E’ ancora Squinzi che parla. Gli si può dare torto?
In quindici mesi di governo,
Matteo Renzi ha prodotto solo due cose significative: il jobs act, che
richiederà anni ed anni prima di modificare le strutture obsolete del mercato
del lavoro italiano; ed il bonus di 80 euro, con la scusa di rilanciare
i consumi interni. Obiettivo mancato. In compenso una sorta di laurismo per
avere un immediato ritorno elettorale.
Per il resto il susseguirsi di tante piccole angherie: dall’autoriciclaggio
al falso in bilancio, passando per gli ecoreati, e la Tasi sull'invenduto,
provvedimenti tanto assurdi che è difficile spiegarli all'estero. “Una
giurisprudenza studiata scientificamente contro l'impresa” per riprendere le
parole dello stesso Squinzi. Per non parlare, infine, della class action,
d’accordo con Gianpaolo Galli, che più scriteriata non si può. Da questa lunga
black list manca solo il riferimento alle sanzioni contro la Federazione
russa. Argomento, in questi giorni, tornato d’attualità. Qui siamo
all’esercizio di un puro autolesionismo. Si tratta di misure che hanno un
retroterra addirittura antistorico. Evocano un clima da “guerra fredda” ed, al
tempo stesso, finiscono per negare il principio dell’autodeterminazione di
comunità numerose, il cui retroterra culturale confligge con quello
prevalente in altre parti dello stesso territorio. Sono vissute da quei popoli
come una pressione esterna inaccettabile, al punto da legittimare il ricorso
alle armi.
Basterebbe questo. Ed invece
quest’argomentazione è solo la punta di un iceberg. Quelle sanzioni non solo
sono inutili, ma dannose. Dannose per le imprese italiane che finora
hanno perso quote rilevanti di mercato, con un danno complessivo che supera i 3
miliardi di euro. Soprattutto: del tutto sproporzionate rispetto alla
reazione a catena che rischiano di innescare.
Nella storia moderna, la Russia è
sempre stata un Paese di frontiera: in bilico tra l’Europa e l’Asia. Quel
semplice conflitto locale rischia di spostare questo baricentro, in un
abbraccio con la Cina che potrebbe risultare devastante per gli equilibri
strategici dell’intero Pianeta.
Possibile che gli stessi
Americani non se ne rendano conto proprio nel momento in cui anche il Pacifico
– il conflitto per il controllo di alcune piccole isole nel Mar della Cina –
mostra segni di crescente instabilità?
Può sembrare un discorso da
presbite. Ma se si analizza cosa c’è sotto il recente rialzo dei costi del
petrolio si scorgono i primi segni di un possibile smottamento. Il rifiuto,
negli scambi tra le grandi aree commerciale, del dollaro come equivalente
generale.
Tra la Russia e la Cina le
forniture sono già pagate nella moneta locale: quella cinese. Se il
fenomeno dovesse generalizzarsi assisteremo a cambiamenti ben più profondi. Ad
una vera e propria guerra valutaria che porterà all’inevitabile
restringimento dell’area del dollaro, a vantaggio di monete fuori del
controllo occidentale. Conviene non al Pentagono, ma agli Stati Uniti? Conviene
alla stessa Europa?
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