domenica 14 giugno 2015

NO ALLE SANZIONI ALLA RUSSIA


Lo dice anche la teoria dei giochi. O chi le attua è disposto ad arrivare fino alla guerra totale, o sono un azzardo che vuol giovare solo a una parte. In questo caso l’America, danneggiando non solo la Federazione Russa ma anche l’Europa e soprattutto l’Italia
a teoria


LA NOSTRA MOZIONE: DALLA PARTE DELLE IMPRESE
Analisi economica: con le sanzioni ci rimettiamo più di tre miliardi. Questo governo finora non ha fatto altro che manifestare un accanimento contro imprenditori e aziende (autoriciclaggio, falso in bilancio, Tasi sull’invenduto). Cambiamo verso a questo governo
Non bisogna essere necessariamente filo-squinziani per riconoscere che sussiste “un accanimento” non solo “fiscale sulle imprese”. L’osservazione fatta dal patron di Confindustria a Santa Margherita Ligure, all’assemblea dei giovani imprenditori. Questa continua discriminazione è certificata da dati oggettivi, oltre che dalla risposta sprezzante di Matteo Renzi a quelle critiche. “Si crea lavoro aprendo le fabbriche nelle città, non aprendo la bocca nei convegni”. Risposta sbagliata sul piano fattuale. Il problema vero non è aprire nuove fabbriche, ma arrestarne la continua moria. Banca d’Italia, in un paper recente, ha dimostrato che negli ultimi anni l’apparato manifatturiero ha visto scomparire quasi un sesto della sua capacità produttiva.[1] Fenomeno che si è, fortunatamente, attenuato. Ma non è ancora scomparso. Com’è dimostrato dal susseguirsi della crisi di molti gruppi industriali. Si dice che il mercato, durante la crisi, faccia pulizia. Darwinianamente elimina le strutture produttive più deboli, liberando quelle risorse, umane e finanziarie, che poi possono essere impiegate altrove. Favorendo il necessario processo di riconversione industriale che è il modo normale per il sistema capitalista di progredire. Nel segno della continua innovazione.
Silvio Berlusconi, nella sua qualità di premier, si presentava alle grandi assise delle imprese italiane, per quei confronti non sempre facili. Ma necessari, per sentire il polso del Paese e rassicurare, pur nelle difficoltà economiche del momento. Storie d’altri tempi. Invece di andare a Milano, Matteo Renzi preferì allora farsi intervistare, la sera, da Virus e replicare da quella sede, nel suo solito modo apodittico, alle critiche ch’erano state rivolte all’Esecutivo. Per poi continuare come se niente fosse. Ed ancora oggi, a distanza da più di un anno dal suo insediamento, resta il grande interrogativo. Qual è la linea di politica economica del Governo? Che cosa si sta facendo per potenziare gli impulsi che provengono dall’estero, ma la cui leva si indebolisce ogni giorno che passa? Il prezzo del petrolio 

sta risalendo, sulla spinta di processi che hanno, al tempo stesso, una matrice di carattere economico ed una tutta politica. La corsa al rialzo del dollaro sembra essersi arrestata. Altro che rapporto “one to one” come preconizzato da alcuni centri studi, sempre pronti a legare l’asino dove vuole il padrone. Gli investimenti non riprendono. Cosa comprensibile. Se i consumi non crescono, “investire e non sapere dove mettere le produzioni ovviamente non ha senso”. E’ ancora Squinzi che parla. Gli si può dare torto?



In quindici mesi di governo, Matteo Renzi ha prodotto solo due cose significative: il jobs act, che richiederà anni ed anni prima di modificare le strutture obsolete del mercato del lavoro italiano; ed il bonus di 80 euro, con la scusa di rilanciare i consumi interni. Obiettivo mancato. In compenso una sorta di laurismo per avere un immediato ritorno elettorale.  Per il resto il susseguirsi di tante piccole angherie: dall’autoriciclaggio al falso in bilancio, passando per gli ecoreati, e la Tasi sull'invenduto, provvedimenti tanto assurdi che è difficile spiegarli all'estero. “Una giurisprudenza studiata scientificamente contro l'impresa” per riprendere le parole dello stesso Squinzi. Per non parlare, infine, della class action, d’accordo con Gianpaolo Galli, che più scriteriata non si può. Da questa lunga black list manca solo il riferimento alle sanzioni contro la Federazione russa. Argomento, in questi giorni, tornato d’attualità. Qui siamo all’esercizio di un puro autolesionismo. Si tratta di misure che hanno un retroterra addirittura antistorico. Evocano un clima da “guerra fredda” ed, al tempo stesso, finiscono per negare il principio dell’autodeterminazione di comunità numerose, il cui retroterra culturale confligge con quello prevalente in altre parti dello stesso territorio. Sono vissute da quei popoli come una pressione esterna inaccettabile, al punto da legittimare il ricorso alle armi.
Basterebbe questo. Ed invece quest’argomentazione è solo la punta di un iceberg. Quelle sanzioni non solo sono inutili, ma dannose. Dannose per le imprese italiane che finora hanno perso quote rilevanti di mercato, con un danno complessivo che supera i 3 miliardi di euro. Soprattutto: del tutto sproporzionate rispetto alla reazione a catena che rischiano di innescare.
Nella storia moderna, la Russia è sempre stata un Paese di frontiera: in bilico tra l’Europa e l’Asia. Quel semplice conflitto locale rischia di spostare questo baricentro, in un abbraccio con la Cina che potrebbe risultare devastante per gli equilibri strategici dell’intero Pianeta.
Possibile che gli stessi Americani non se ne rendano conto proprio nel momento in cui anche il Pacifico – il conflitto per il controllo di alcune piccole isole nel Mar della Cina – mostra segni di crescente instabilità?
Può sembrare un discorso da presbite. Ma se si analizza cosa c’è sotto il recente rialzo dei costi del petrolio si scorgono i primi segni di un possibile smottamento. Il rifiuto, negli scambi tra le grandi aree commerciale, del dollaro come equivalente generale.
Tra la Russia e la Cina le forniture sono già pagate nella moneta locale: quella cinese. Se il fenomeno dovesse generalizzarsi assisteremo a cambiamenti ben più profondi. Ad una vera e propria guerra valutaria che porterà all’inevitabile restringimento dell’area del dollaro, a vantaggio di monete fuori del controllo occidentale. Conviene non al Pentagono, ma agli Stati Uniti? Conviene alla stessa Europa?





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