I numeri dicono No. Smontate le bufale di Renzi e Boschi su casta e sprechi: ogni senatore costerà di più e l'iter legislativo Non è vero che la diminuzione del numero dei senatori porterà a un risparmio per le casse dello Stato, anzi: il costo medio di ogni senatore passerà da 869mila euro a 2,35 milioni di euro. Il sito Truenumbers.it curato dal giornalista di Panorama Marco Cobianchi ha verificato, una a una, tutte le promesse fatte dal presidente del Consiglio Matteo Renzi e dai promotori del Sì al referendum confermativo sulla riforma della Costituzione firmata dal ministro Maria Elena Boschi. Ed ecco che rispetto ai risparmi per lo Stato e alla lotta alla Casta e allo snellimento delle procedure legislative, la freddezza dei numeri smonta le bufale propalate dal Sì una ad una. Ne abbiamo scelte cinque: il costo del Senato, appunto, l'iter delle leggi e il voto di fiducia e il costo del Cnel, che per il Csm è già stato abolito tanto che l'organismo di autogoverno della magistratura ha messo da parte 21 milioni per trasferirsi da Palazzo de' Marescialli nella sede di Palazzo Lubin. Con una curiosità: secondo il sito gli italiani che hanno cercato su Google lo scorso ottobre la parola referendum per informarsi rispetto alla riforma sono meno di 25mila.
L'abolizione del Cnel
Tra i 47 articoli che la riforma costituzionale intende modificare c'è anche quello riguardante il Cnel, che verrebbe abolito. Se passasse la riforma nello splendido Palazzo Lubin, sede del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, si trasferirebbe il Csm, il Consiglio superiore della magistratura che, a quanto pare, è sicurissima che la riforma otterrà il via libera degli italiani. Il grafico, infatti, mostra alcune delle maggiori spese previste dal Csm per l'anno in corso tra le quali spicca una uscita-monstre di oltre 21 milioni per pagare i costi del trasloco da Palazzo dei Marescialli a palazzo Lubin. Come vengono trovati questi soldi? Il Csm ha tagliato molte delle spese del suo bilancio colpendo soprattutto la spesa per il personale, calata del 7%: gli stipendi dei magistrati non sono stati toccati mentre sono stati colpiti quelli del «personale non di ruolo in servizio al Csm».
Meno senatori costeranno di più
La riforma costituzionale intende ridurre il numero dei senatori da 321 (compresi quelli a vita) a soli 100. Ma a quanto ammonterebbero i risparmi veri? Come si vede dal grafico si risparmierebbero 24,5 milioni per gli stipendi e 19,4 per diarie e rimborsi per un totale di 43,9 milioni di euro, lo 0,125% della spesa pubblica italiana. Ma c'è un aspetto, quello pensionistico, che non è stato mai preso in considerazione: di questi 315, almeno 150 avranno 60 anni e circa 90 di questi 150 saranno al termine di due legislature, quindi avranno il diritto alla pensione. Se ipotizziamo una spesa di 50mila euro per pensionato, abbiamo la cifra di 4,5 milioni di euro di esborso aggiuntivo. Ma c'è anche una piccola beffa: se il numero di senatori calerà del 69%, da 321 a 100, la spesa totale per il Senato scenderà solo del 16%, da 279 a 235 milioni. Vuol dire che pro-capite i senatori costeranno di più: da 869 mila euro si passerà a 2,35 milioni.
Palazzo Madama ha sempre dato fiducia al premier
Uno dei punti qualificanti del progetto di riforma costituzionale consiste nel fatto che il Senato non dovrà più concedere la fiducia al governo, basterà quella della Camera. In effetti, però, il Senato non ha mai negato la fiducia al governo. Nel grafico è indicato il numero di volte in cui, dal 2011 ad oggi, i governi hanno posto la questione di fiducia per far passare i propri Ddl. Matteo Renzi, in poco più di due anni di governo, fino a giugno del 2016, ha posto la fiducia in Senato ben 50 volte. Monti, che non si può dire sia stato un governo poco decisionista, l'ha posta solo 38 volte in 1 anno e mezzo e Letta solo 10 in un anno. Per fare un paragone, il governo Berlusconi IV, il secondo più longevo nella storia della Repubblica (7 maggio 2008-16 novembre 2011, 3 anni 6 mesi e 8 giorni), ha posto la fiducia appena 39 volte.
Per una legge bastano 57 giorni
È vero che il Senato rallenta l'iter di approvazione delle leggi? Vediamo i numeri. Come si vede dal grafico nel 2016 le leggi di iniziativa governativa hanno impiegato appena 107 giorni per essere approvate dalla Camera e 141 per essere approvate dal Senato. I decreti legge, che devono essere approvati entro 60 giorni dalla loro promulgazione pena la decadenza, sono stati approvati dalla Camera in 28 giorni e dal Senato in 14. Le leggi di iniziativa regionale hanno sono state ferme alla Camera più giorni, 113, che al Senato, 57, mentre le leggi che davvero faticano ad essere approvate sono quelle di iniziativa parlamentare. Impiegano ben 392 giorni alla Camera e 226 al Senato. Significa che il governo preferisce accordare una via preferenziale alle «proprie» leggi lasciando in coda quelle provenienti dal Parlamento o dalle Regioni.
Solo 24mila clic sul "referendum"
Pare che agli italiani l'appuntamento referendario del 4 dicembre non importi poi così tanto. Le ricerche che vengono effettuate dal nostro Paese su Google e che hanno per parola chiave «referendum» sono state pochissime, in ottobre. L'espressione «referendum costituzionale del 4 dicembre» è stata ricercata appena 18.100 volte. «Referendum costituzionale» solo 5.400 volte e ancora meno «referendum Italia», mille volte. L'espressione più pertinente all'oggetto, cioè «referendum confermativo», è stato ricercato sul motore di ricerca appena 480 volte. Gli italiani continuano, invece, ad essere interessatissimi ad avere notizie su «referendum Grecia», che si è svolto il 5 luglio del 2015 che, nello stesso arco di tempo, è stato ricercato ben 49.500 volte.
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