(di Danilo Quinto) Dopo aver fatto l’elogio di Nichi Vendola, «ha fatto un lavoro sodo in tanti settori, in questi dieci anni», nel discorso d’inaugurazione della Fiera del Levante di Bari, Matteo Renzi ha ripetuto il ritornello che propina in ogni circostanza: «Fare politica non è quella cosa obbrobriosa che ci hanno raccontato, ma provare a mettere nella vita di tutti i giorni entusiasmo. Dopo anni di ubriacature da soluzioni tecniche e tecnocratiche, è il momento che la politica torni a fare il suo mestiere. Questo perché oggi la crisi economica è globale, ma vede nell’eurozona un punto di difficoltà maggiore e vede l’Italia non ancora ripartita, non ancora rimessa in moto». L’idea di politica del Presidente del Consiglio e il suo entusiasmo, si scontrano – come accade dall’inizio dell’”avventura” – con i dati reali. Come quelli diffusi in questi giorni dall’OCSE e per l’agenzia di rating Standard & Poor’s. Nel suo rapporto intermedio, l’OCSE ha tagliato le stime di crescita dell’Italia, prevedendo per il 2014 un calo del Pil dello 0,4% contro il +0,5% indicato a maggio; per il 2016, la stima è di +0,1% contro il +1,1% pronosticato in precedenza. Analoga la previsione fatta da Standard & Poor’s, che vede l’Italia «bloccata nella recessione» e valuta che l’impatto del bonus da 80 euro voluto dal Governo Renzi sarà solo dello 0,1% contro lo 0,3% inizialmente previsto. È difficile immaginare che l’“entusiasmo” e gli “annunci” di riforme strutturali possano contrastare queste previsioni. È facile prevedere che le aggraveranno, con una legge di stabilità che – nonostante le rassicurazioni di Renzi – dovrà tener conto dei vincoli di bilancio e con i tagli “lineari” della spesa pubblica che seguono analoghe politiche perseguite dai Governi degli ultimi vent’anni. Su questo versante, Renzi non incarna nessuna novità. Anche il suo tentativo di sottrarsi ai “controlli” della Commissione europea e della BCE, per quel che concerne la realizzazione delle riforme, è fallito.
L’incontro dei ministri finanziari dei Paesi europei, che si è svolto a Milano negli scorsi giorni, ha sancito che il contenuto e la calendarizzazione delle riforme – sul lavoro, la competitività e la produttività, sulla pubblica amministrazione, la formazione, la giustizia e la scuola – dovranno essere sottoposte alla Commissione europea, che le monitorerà. Con il Governo Renzi, si è consegnata definitivamente la sovranità dell’Italia ad autorità ad essa estranee.
L’itinerario fin qui percorso da questo terzo Governo consecutivo sostenuto da una maggioranza non eletta dal popolo, è ben delineato dall’ultima rilevazione di Demos per l’Atlante Politico di Ilvo Diamanti. Renzi ha perso 15 punti di consenso in 3 mesi e la sua forza di attrazione coinvolge sempre meno quella parte di elettorato di centrodestra, che gli aveva dato fiducia: «Il PD di Renzi, il PdR – scrive Diamanti – oggi appare, in parte, “normalizzato”. Non è più in grado di attingere consensi da tutti i principali settori dello spazio elettorale, ma è divenuto un soggetto politico di centrosinistra, più di centro che di sinistra. Come il suo leader. Come il premier. Che, per questo, non piace più, come prima, a centrodestra, ma neppure agli elettori maggiormente spostati a sinistra. Né, a maggior ragione, agli elettori del M5s».
Conseguenza di quest’analisi è che Renzi non può fare meno del PD per governare e man mano che le settimane passeranno – e continueranno i fallimenti dell’azione di governo – sarà sempre più chiaro che l’unica possibilità per Renzi di conservare il potere sarà quella delle elezioni. Le vincerà a man bassa, se dall’altra parte – se ancora esiste un’altra parte – non si comprenderà che un Paese allo stremo, com’è l’Italia di oggi, ha bisogno di ritrovare innanzitutto la sua dignità. (Danilo Quinto)
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