«La mia vita è sconvolta, ho subito la
peggiore delle ingiustizie. Sono profondamente addolorato per aver ricevuto una
condanna per fatti insussistenti. Ma rifarei tutto, e non cederò alla
tentazione di perdere completamente la fiducia nello Stato». Luigi
de Magistris ha affidato a Facebook il suo sfogo per la condanna a un anno e
tre mesi di reclusione inflittagli dai giudici della X sezione penale del
Tribunale di Roma nel processo relativo ad alcuni abusi nell’inchiesta “Why
Not”, all’epoca in cui era pm di Catanzaro. l
sindaco di Napoli doveva rispondere di abuso d’ufficio per aver acquisito in
quell’inchiesta, tra il 2006 e il 2007, senza le necessarie autorizzazioni
delle Camere di appartenenza, i tabulati delle utenze di 5 parlamentari: Romano
Prodi, Francesco Rutelli, Clemente Mastella, Marco Minniti e Antonio Gentile.
Secondo la procura, de Magistris ebbe il torto di concedere nel 2007 carta
bianca a Genchi, il cui incarico era finalizzato a portare alla luce il giro di
relazioni e rapporti desumibili dalla rubrica telefonica (che conteneva
migliaia di numeri) riconducibile all’imprenditore Antonio Saladino, al centro
dell’inchiesta “Why Not”. Nella requisitoria il pm Felici aveva detto che de Magistris
si era «di fatto consegnato allo stesso Genchi al punto che il consulente
tecnico è andato oltre il suo ruolo e si è trasformato in investigatore
(essendo pure un funzionario della polizia di Stato), disponendo i decreti di
acquisizione di atti che il pm firmava con non troppa attenzione. E Genchi, che
da 15 anni faceva questo lavoro, non poteva non sapere che occorresse un via
libera del Parlamento per
indagare sulle utenze di
politici, come Prodi, Mastella, Rutelli, Minniti, Gentile, Gozzi e Pittelli». Inoltre «Genchi,
negli anni, si era costruito un database pieno di informazioni, creando un
bagaglio di conoscenze enorme, sapeva vita, morte e miracoli dei politici, le
loro abitudini. Ma al di là di quell’agenda telefonica di Saladino non c’era
alcun altro indizio che giustificasse il coinvolgimento di parlamentari».
A dimettersi, ovviamente, de Magistris non ci pensa nemmeno. E in
qualche modo è giusto così, perché la presunzione d’innocenza vale per tutti
indistintamente dal colore politico, dalle idee e dal ruolo istituzionale
svolto. Eppure un gesto del genere sarebbe coerente con la storia e la cultura
“manettara” del sindaco di Napoli. Nel gennaio del 2011, quando Berlusconi
venne indagato per prostituzione minorile e concussione nell’ambito del caso
Ruby, de Magistris, allora eurodeputato dell’Idv, non ci pensò due secondi a
unirsi al coro dei giustizialisti antiberlusconiani.
«L’unico fango che si può osservare è quello che Berlusconi getta
sul paese, anche nel contesto internazionale, rappresentando gli italiani in
modo indegno», disse. «In qualsiasi stato dell’Europa e in qualunque democrazia
normale, un presidente del Consiglio indagato per concussione e favoreggiamento
della prostituzione minorile sarebbe stato obbligato a dimettersi, tra il coro
di ‘bye bye’ generale dei cittadini. E’ inadatto a governare, oltre ad esser
ricattabile a causa del suo stile di vita e, perciò, pericoloso per la
sicurezza nazionale. Il suo comportamento in altri Stati democratici
determinerebbe l’impeachment. Di cosa altro deve macchiarsi oppure essere
sospettato per poter compiere un decoroso passo indietro in segno di rispetto
delle istituzioni e degli italiani? Quale altra bassezza etica e quale altra
accusa giudiziaria devono piovergli addosso per liberarci della sua presenza?».
Parole pesanti, che oggi suonano quasi come una beffa. Mai fu più
profetica, infatti, la legge del contrappasso dantesca. Se non altro perché
oggi Berlusconi per quelle accuse è stato assolto, mentre de Magistris si
ritrova con una condanna pesante che incide sulla sua già scarsa credibilità.
Dovrebbe dimettersi. E non certo per la condanna, piuttosto per la sua doppia
morale. La solita doppia morale della sinistra italiana. Riproduzione riservata - ©2014 Qelsi Quotidiano
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