In un Paese democratico, o
forse soltanto civile, Ilda
Boccassini avrebbe rassegnato già le proprie dimissioni. Lo
avrebbe fatto un minuto dopo aver ascoltato la sentenza con cui il giudice Enrico Tranfa ha demolito punto per punto
in sede di Appello l'inchiesta su Ruby
e Silvio Berlusconi,
la più rumorosa e mediaticamente devastante degli ultimi 20 anni di politica
italiana. Dal 2010, da quando cioè la Procura di Milano inizia a indagare su
quanto accaduto alla Questura di Milano la notte del 27 maggio, quando la
17enne Karima al Mahroug
fu "prelevata" dal consigliere regionale del Pdl in Lombardia Nicole Minetti, e
soprattutto sulle frequentazioni dell'allora premier ad Arcore. Dal gennaio del
2011, quando cioè Berlusconi è finito ufficialmente sul registro degli
indagati, non è passato giorno senza che dalla Procura milanese coordinata da Edmondo Bruti Liberati
filtrassero indiscrezioni, intercettazioni, boatos: roba piccante, dai risvolti
pruriginosi quando non pornografici, racconti di testimoni poi smentiti da
altri testimoni, confessioni mai arrivate da parte dei protagonisti. Eppure, è
bastato per imbastire un processo a uso e consumo dei voyeur, tra racconti di
cene, telefonate velenose e intime, orge, olgettine travestite e pronte a
tutto in cambio di soldi e favori vari. di Claudio Brigliadori
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