Fate quel che dico, non
fate quel che faccio. E’ secondo questo “schema collaudato” che la locomotiva d’Europa cerca
di tenere tutti sono controllo. Un controllo a doppio filo che trova, proprio
nella decisione con la quale Berlino mette le questioni sul tavolo, il suo punto
di forza. Sì, perché dietro l’aspetto “duro e puro”, dietro i continui richiami
ai Paesi membri affinché rispettino le stringenti regole economiche messe nero
su bianco da Bruxelles, la
Germania bara. E quel che è peggio è che nei palazzi che
contano se ne sono accorti tutti. Ma tutti fingono di non saperlo. Un po’ come chi è seduto al tavolo da Poker con uno che nasconde tre assi
nella manica, ma non dice nulla perché sa che lo stesso personaggio ha un
revolver in tasca. Così, per paura di essere messi al muro
dalle accuse della banca centrale tedesca, i responsabili economici degli altri
Stati fanno finta di nulla
e passano avanti. Ma se le leggi e le regole sono uguali per tutti lo devono
essere anche per la Germania. Tanto più in questo caso, perché lo “sforamento” tedesco ha un solo
e chiaro effetto: aumentare quel divario economico che la stessa Berlino poi
chiede a tutti di ripianare. Il gatto che si morde la coda? Più cornuti e
mazziati. Ma che cosa succede? Tutto ha
origine con la crisi economica.
Non credendo ai loro occhi, davanti alla possibilità di introdurre nuove norme
che potessero mantenere ancora più sotto controllo l’economia degli Stati, i
funzionari di Bruxelles hanno dato vita al cosiddetto “Six Pack”, un sistema di
norme di nuova generazione sugli “squilibri
macroeconomici”. Davanti
a una situazione di
difficoltà che andava
allargandosi a macchia d’olio (era il 2011), Bruxelles ha messo mano a un
sistema di controllo degli squilibri che si registravano negli scambi con
l’estero delle diverse economie. Proprio qui, secondo la Commissione Ue,
infatti, si generava la crisi. A fronte di molti Paesi che registravano un
saldo negativo per quello che riguarda gli scambi di beni, servizi e partite
finanziarie con il resto del mondo, altri (Germania su tutti) registravano un
surplus cronico. L’avanzo con l’estero veniva reinvestito in prestiti ai Paesi in deficit e gli
squilibri tra gli Stati membri aumentavano.
Trovata la malattia bisognava mettere in campo la cura. Ecco dunque il
nuovo pacchetto di regole. Quelle che alla Bundesbank tutti fanno finta di non
conoscere: ad ogni Paese è proibito registrare un “rosso” delle partite correnti
che vada oltre il 3% del Pil per più di tre anni di fila. Idem per il surplus
che non può oltrepassare il 6% per lo stesso periodo. E quindi? Quindi mentre
molti Stati hanno messo in campo manovre economiche da brivido per rientrare
nei parametri stabiliti, Berlino
continua a sforarli. E quel che è peggio è che lo fa ormai da 5
anni e senza che nessuno dica
nulla. Nemmeno una riga, non una critica, non un richiamo. Solo
un timido generico avvertimento: “aumentare gli investimenti e a stimolare la
concorrenza nei servizi”. Niente, nulla, niet! La dimostrazione, semmai ce ne
fosse stata la necessità, che l’Unione
Europea non è un’unione di popoli, ma di poteri. E che, almeno
al momento, questi poteri sono facilmente identificabili e collocabili. E sono
tutti al di là delle Alpi.).
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