Di Maurizio
Blondet Il 17 aprile si vota il
referendum contro le trivelle a mare. Sconfitta certa per gli
ecologisti, arcobaleni e vendoliani promotori: occorre il voto del
50 per cento più uno degli aventi diritto, e secondo i sondaggi,
andrà a votare il 20%. Come rimediare?
Lo si deve ricavare dai
giornali, che dicono e non dicono, tanto è pericoloso il potere che sfidano:
“Alcuni magistrati anti-trivelle”, a Potenza, han suscitato uno scandalo
giudiziario “a orologeria contro il governo” per “condizionare il
risultato del referendum del 17 aprile”. I magistrati forniscono ai giornali le
intercettazioni fra la ministra Guidi e il suo “fidanzato”, che certo fanno una
brutta impressione: ma sono del 2014,
perché proprio alla vigilia del referendum minacciato dalle astensioni?
Il trucco è: richiedendo proprio oggi le custodie cautelari (il carcere
preventivo), si possono e devono “rendere pubblici gli atti” ossia le
intercettazioni d’accusa. Su cui il circo mediatico salta come un cane
sull’osso.
Dalle intercettazioni, gli
accusatori di Potenza risalgono a “un sistema”, alla “lobby del
petrolio”, insomma ad uno dei loro soliti teoremi che – in secondo grado
di giudizio – quasi sempre finiscono in nulla, con tutti
assolti (spesso dopo mesi di carcere preventivo e la vita distrutta); ma
ormai hanno raggiunto lo scopo, con l’aiuto dei giornali manettari e
dell’opposizione più pirla: fermare lo sviluppo. Quelli sono i magistrati anti-Tav, anti Ilva, anti-trivelle,
anti-tutto ciò che produce e dà lavoro qualificato . Una magistratura
retriva e arretrata perché priva di ogni cultura industriale, regressiva come i
wahabiti, che sta imponendo la “sue” politiche (anti)industriali ad un
governicchio facile da destabilizzare con scandali veri e presunti, grazie ad
intercettazioni a tappeto 24 ore su 24. Non sto difendendo il governicchio:
dico che il pericolo è la magistratura.
Il governicchio ha dritto di fare politiche industriali , e il progetto Tampa
Rossa lo è. La “Lobby”, il “sistema” che la magistratura accusa è, fra l’altro,
l’Eni. Questa magistratura vuole che Taranto
viva di coltivazione delle cozze, l’Italia di energia solare (coi pannelli Made
in China), la Basilicata viva di noci, il Sud di sussidi pubblici e false pensioni di
invalidità, e che i treni vadano a 25 allora. Soprattutto, protegge i
poteri indebiti che s’è conquistata con Mani Pulite. Posto qui di seguito l’articolo di uno dei
pochi giornalisti che non risponda con le salivazioni dei cani di Pavlov,
disponendosi all’attacco degli accusati della magistratura manettara, che poi
saranno prosciolti anni dopo. Mattia Feltri, de La Stampa. E’ un excursus
storico delle imprese del potere giudiziari contro il potere esecutivo. I
neretti sono miei.
Giudici di nuovo in campo.
E ora la sfida è a Renzi
mattia feltri - Ieri Fabrizio Cicchitto ha detto apertamente
quello che Matteo Renzi sospetta e si limita a riferire a beneficio dei
retroscena: «Bisogna parlare di una bomba ad orologeria fatta esplodere con il
meccanismo procedurale della richiesta di custodie cautelari e la conseguente
pubblicità degli atti». E poi: «Non a caso questa richiesta è stata avanzata
adesso, indipendentemente dal fatto che l’indagine è stata aperta nel 2014 e in
questo modo si fa esplodere la bomba proprio alla vigilia dei referendum di
aprile». Il concetto di «giustizia a orologeria» sembrava ormai fuori
moda, almeno da quando il massimo teorico, Silvio Berlusconi, occupa i margini
della cronaca, compresa quella giudiziaria. Ed è forse la prima volta che
esponenti di una maggioranza di centrosinistra – presidente del Consiglio
compreso, e nonostante Cicchitto venga dal centrodestra – si esprimono così
apertamente sui fini politici dell’azione giudiziaria. L’ultimo governo caduto
per effetti penali è stato quello di Romano Prodi nel 2008 (l’altro era quello
di Berlusconi nel 1994). Ora è preminente e comodissima la tesi secondo cui
l’esecutivo era venuto giù per la corruzione del senatore Sergio De Gregorio,
passato con la Casa delle libertà in cambio di finanziamenti e onori (e sempre
che la teoria regga ai tre gradi di giudizio); ma chiunque capirà il diverso
peso dell’uscita dalla maggioranza dell’Udeur di Clemente Mastella ministro
della Giustizia. La moglie Sandra Lonardo era stata arrestata e messa ai domiciliari per una serie di accuse che otto anni dopo
sono evaporate o disperse, e Mastella, in lite con un molto
turgido Antonio Di Pietro, chiedeva a Prodi solidarietà. Fra i due, il
Professore scelse naturalmente l’alleato prossimo alla magistratura, e Mastella
votò la sfiducia. È complicato sostenere che a Potenza coltivino progetti
politici e calibrino i tempi d’intervento, anche perché dell’inchiesta in sé si è capito poco,
nulla di quanti denari siano eventualmente girati, in che cosa consistano gli atti corruttivi
e se non siano piuttosto di lobbying, ma tutto delle imbarazzanti
implicazioni della ministra Federica Guidi e del suo fidanzato. È uno schema
abbastanza ripetitivo. Pochi ricorderanno il nome di Ercole Incalza, nessuno i
contorni degli addebiti con cui la procura di Firenze lo ha arrestato un anno
fa, ma tutti del tracollo del ministero delle Infrastrutture retto da Maurizio
Lupi e di cui Incalza era altissimo dirigente. Poche settimane fa Incalza è stato prosciolto nel disinteresse
generale, e alla fine l’azione della procura magari non aveva
obiettivi politici ma le conseguenze sono state tali, e gravi.
Dall’inizio della Seconda
repubblica la maggior causa di mortalità in politica è dipesa dalle inchieste della magistratura, non sempre
concluse con successo, spesso con condanne decisamente
ridimensionate rispetto ai presupposti, altre volte con il trionfo pieno degli imputati (il caso di Calogero
Mannino, assolto dopo quattordici anni da accuse di mafia è il
più notevole) e viene in mente per esempio l’inchiesta Why Not di Luigi De Magistris, una specie di
kolossal giudiziario in cui era finito dentro chiunque, da
Prodi in giù.
Alla fine i condannati
saranno stati cinque o sei su una cinquantina, e il pubblico ministero è stato
premiato con la fama e l’elezione a sindaco di Napoli. Dimostrare la
premeditazione di De Magistris è impossibile e inutile, però è dura trattenere
il sospetto che tante
inchieste contro la politica (così scalcagnata da offrire
occasioni a ripetizione) dipendano
almeno in parte dal rilievo che hanno in tv e sui giornali,
dalla reputazione che garantiscono, dall’assenza di conseguenze in caso di
errore, soprattutto dalla guerra fra politica e magistratura cominciata con
Mani pulite nel 1992, e davanti alla quale una classe dirigente corrotta e squalificata,
anche se ben oltre i suoi demeriti, accettò di arretrare. Un regola classica
delle dinamiche istituzionali dice che un
potere tende per sua natura ad espandersi: quello giudiziario
ha occupato lo spazio lasciato libero da esecutivo e legislativo e, sempre per
sua natura, non accetta di cederlo. Berlusconi e Prodi, per motivi opposti,
hanno perso la partita. Ora sembra volerla riprendere Renzi, e promette di
essere una partita avvincente.
PS.
Una aggiunta su Ercole
Incalza, l’alto dirigente del ministero delle Infrastrutture assolto dopo
mesi di arresti. Una delle accuse: “secondo i pm, Incalza, come dirigente
del ministero delle Infrastrutture , si sarebbe “prodigato per bypassare
vincoli e autorizzazioni paesaggistici,
anche attestando nelle varianti al progetto che non fosse necessaria una nuova
valutazione di impatto ambientale, con riferimento allo scavo del tunnel vicino
a monumenti come la Fortezza da Basso”. Insomma la sua colpa era di far
avanzare il progetto vincendo e districando le mille trappole e lacciuoli della
cosiddetta “legislazione” garantista e da una burocrazia odiosa e
oppressiva. Oggi Incalza è stato assolto. Anzi prosciolto e
archiviato in 14 inchieste, ma i giornali si bevono qualsiasi cosa venga
detta loro dalle procure”, secondo le sue stesse parole
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