Caro direttore, sono naturalmente
anch'io molto preoccupato per la situazione della Grecia. Rischia di
trasformarsi in un disastro non soltanto per i greci, un popolo amico e alleato
dell'Italia, ma anche per l'idea stessa di Europa. L'Europa non può permettersi
di perdere la Grecia per ovvie considerazioni storiche e geo-politiche (la
Grecia presidia uno dei confini più delicati del continente, un grande crocevia
strategico), ma anche per una ragione di fondo: perdere la Grecia significa
accettare l'idea che l'integrazione europea è reversibile, che dall'Europa si
entra e si esce, che non siamo una comunità di popoli ma un club al quale
accedere o da cui recedere, secondo le contingenze. Non c'è dubbio, il governo greco ha enormi
responsabilità in questa situazione. Tsipras rappresenta la sinistra peggiore,
un mix di ideologia e di demagogia anticapitalista dagli effetti disastrosi. Ma
come siamo giunti a questo? Perché i greci hanno eletto Tsipras? E perché
tanti spagnoli votano Podemos, tanti italiani Grillo, tanti francesi Marine Le
Pen? Perché questa Europa sta facendo fallire il sogno europeo.
Essere davvero europeisti
significa prenderne atto, e dirlo con chiarezza. Stiamo perdendo una grande
occasione, dissolvendo il grande sogno di Schuman, di De Gasperi, di Adenauer. Il
sogno nel quale è cresciuta la mia generazione. L'Europa di fronte alla crisi
si è rivelata clamorosamente inadeguata. Invece di offrire una speranza per la
ripresa, per lo sviluppo, si è limitata a riproporre regole stupidamente
rigide, che hanno peggiorato le difficoltà delle economie più fragili. Alla
Grecia l'Europa ha chiesto, giustamente, di effettuare riforme strutturali,
necessarie per quanto dolorose, ma al tempo stesso le ha negato l'ossigeno per
farle. Il governo Samaras, un governo responsabile, filo-europeo, guidato da
Nuova Democrazia, un partito che appartiene come Forza Italia al PPE, è stato
travolto proprio da questo paradosso che ne ha rallentato l'azione
riformatrice. E così si è aperta la strada a Tsipras. La formula adottata dalle istituzioni europee
e internazionali di un “rigore senza sviluppo”, non soltanto non è
accettata dai cittadini di molti Paesi europei, ma è avvertita - a torto o a
ragione - come una scelta egoistica da parte dei Paesi più forti dell'Unione
Europea.
Tagli alla spesa pubblica e
crescita della tassazione, insieme, determinano inevitabilmente effetti
recessivi, ed è quasi impossibile risanare i conti di un Paese che non cresce.
Se a questo si aggiungono l'assenza di qualsiasi garanzia sui debiti sovrani
degli Stati, gli stessi effetti del Fiscal Compact, e la politica della BCE,
recentemente corretta grazie a Mario Draghi ma che per lungo tempo ha negato
liquidità alle economie in sofferenza, si comprende perché l'Europa sia stata
vista, non a torto, da molti Paesi come un macigno sulle spalle e non come
un'opportunità di sviluppo e di crescita.
Certo, dal punto di vista della
Realpolitik non ha molto senso utilizzare, per gli Stati, la categoria
dell'egoismo: la politica internazionale, infatti, si basa per larga parte
sulla legittima tutela di interessi nazionali. E è proprio ragionando in
termini di interesse che mi domando: a chi conviene perdere oggi la Grecia,
domani magari la Spagna, dopodomani l'Ungheria, l'Italia o il Portogallo?
A nessuno. Credo invece che si
debba porre con forza il problema di ridiscutere a fondo, radicalmente, le
regole di convivenza in Europa. Non per smantellare l'Europa, ma per
consentirle di andare avanti. Il mio governo si impegnò molto in questa
direzione, e forse fu proprio questa una delle ragioni per le quali alcuni
ambienti europei, agendo in modo miope oltre che scorretto, lavorarono per
farlo cadere.
Oggi il futuro dell'Europa è
nelle mani degli elettori greci che domenica si esprimeranno con un referendum.
Ma comunque vada, da lunedì sarà nelle mani della lungimiranza delle leadership
europee, e della loro capacità di cambiare rotta, regole e metodi immaginando
un futuro per il nostro continente, così come fecero i Padri fondatori
dell'Europa. Occorre mettere in campo politiche industriali illuminate, agire
con leve fiscali a favore delle piccole e medie imprese, guardare con urgenza
ai bisogni dell'economia reale come unico antidoto possibile per debellare la
nefasta trasformazione in finanza dell'economia stessa.
2 luglio 2015
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