sabato 4 luglio 2015

TENIAMO LA GRECIA E CAMBIAMO L’EUROPRA: LETTERA ID SILVIO BERLUSCON


Caro direttore, sono naturalmente anch'io molto preoccupato per la situazione della Grecia. Rischia di trasformarsi in un disastro non soltanto per i greci, un popolo amico e alleato dell'Italia, ma anche per l'idea stessa di Europa. L'Europa non può permettersi di perdere la Grecia per ovvie considerazioni storiche e geo-politiche (la Grecia presidia uno dei confini più delicati del continente, un grande crocevia strategico), ma anche per una ragione di fondo: perdere la Grecia significa accettare l'idea che l'integrazione europea è reversibile, che dall'Europa si entra e si esce, che non siamo una comunità di popoli ma un club al quale accedere o da cui recedere, secondo le contingenze.  Non c'è dubbio, il governo greco ha enormi responsabilità in questa situazione. Tsipras rappresenta la sinistra peggiore, un mix di ideologia e di demagogia anticapitalista dagli effetti disastrosi. Ma come siamo giunti a questo? Perché i greci hanno eletto Tsipras? E perché tanti spagnoli votano Podemos, tanti italiani Grillo, tanti francesi Marine Le Pen? Perché questa Europa sta facendo fallire il sogno europeo.
Essere davvero europeisti significa prenderne atto, e dirlo con chiarezza. Stiamo perdendo una grande occasione, dissolvendo il grande sogno di Schuman, di De Gasperi, di Adenauer. Il sogno nel quale è cresciuta la mia generazione. L'Europa di fronte alla crisi si è rivelata clamorosamente inadeguata. Invece di offrire una speranza per la ripresa, per lo sviluppo, si è limitata a riproporre regole stupidamente rigide, che hanno peggiorato le difficoltà delle economie più fragili. Alla Grecia l'Europa ha chiesto, giustamente, di effettuare riforme strutturali, necessarie per quanto dolorose, ma al tempo stesso le ha negato l'ossigeno per farle. Il governo Samaras, un governo responsabile, filo-europeo, guidato da Nuova Democrazia, un partito che appartiene come Forza Italia al PPE, è stato travolto proprio da questo paradosso che ne ha rallentato l'azione riformatrice. E così si è aperta la strada a Tsipras.  La formula adottata dalle istituzioni europee e internazionali di un “rigore senza sviluppo”, non soltanto non è accettata dai cittadini di molti Paesi europei, ma è avvertita - a torto o a ragione - come una scelta egoistica da parte dei Paesi più forti dell'Unione Europea.
Tagli alla spesa pubblica e crescita della tassazione, insieme, determinano inevitabilmente effetti recessivi, ed è quasi impossibile risanare i conti di un Paese che non cresce. Se a questo si aggiungono l'assenza di qualsiasi garanzia sui debiti sovrani degli Stati, gli stessi effetti del Fiscal Compact, e la politica della BCE, recentemente corretta grazie a Mario Draghi ma che per lungo tempo ha negato liquidità alle economie in sofferenza, si comprende perché l'Europa sia stata vista, non a torto, da molti Paesi come un macigno sulle spalle e non come un'opportunità di sviluppo e di crescita.
Certo, dal punto di vista della Realpolitik non ha molto senso utilizzare, per gli Stati, la categoria dell'egoismo: la politica internazionale, infatti, si basa per larga parte sulla legittima tutela di interessi nazionali. E è proprio ragionando in termini di interesse che mi domando: a chi conviene perdere oggi la Grecia, domani magari la Spagna, dopodomani l'Ungheria, l'Italia o il Portogallo?
A nessuno. Credo invece che si debba porre con forza il problema di ridiscutere a fondo, radicalmente, le regole di convivenza in Europa. Non per smantellare l'Europa, ma per consentirle di andare avanti. Il mio governo si impegnò molto in questa direzione, e forse fu proprio questa una delle ragioni per le quali alcuni ambienti europei, agendo in modo miope oltre che scorretto, lavorarono per farlo cadere.
Oggi il futuro dell'Europa è nelle mani degli elettori greci che domenica si esprimeranno con un referendum. Ma comunque vada, da lunedì sarà nelle mani della lungimiranza delle leadership europee, e della loro capacità di cambiare rotta, regole e metodi immaginando un futuro per il nostro continente, così come fecero i Padri fondatori dell'Europa. Occorre mettere in campo politiche industriali illuminate, agire con leve fiscali a favore delle piccole e medie imprese, guardare con urgenza ai bisogni dell'economia reale come unico antidoto possibile per debellare la nefasta trasformazione in finanza dell'economia stessa.
2 luglio 2015





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