Si godono la vecchiaia a
casa loro, campando alle spalle dello Stato italiano. Gli stranieri che
ottengono l’assegno sociale e poi tornano nel proprio Paese sono sempre di più.
Anche perché è facile: basta una semplice autocertificazione. E anche se l’Inps scopre che qualcuno è
scappato in patria, può farci poco o nulla. Molto spesso gli immigrati conoscono la legge (e i suoi
benefici) meglio degli italiani. Sanno come aggirare le regole e come
piegarle ai propri interessi. Accade anche con l’assegno sociale, una prestazione economica che
viene concessa ai cittadini, italiani e stranieri, che si trovano in condizioni
economiche particolarmente gravi. Il reddito annuo di chi lo richiede non deve
superare 5.800 euro. Ottenerlo, soprattutto per gli stranieri, è abbastanza
facile. Basta avere residenza stabile e abituale da dieci anni in un Comune
italiano, essere titolari di un permesso di soggiorno di lungo periodo, non
superare la soglia di reddito richiesta e, ovviamente, avere compiuto 65 anni.
Solo in Lombardia, come ci assicura una fonte dell’Inps, sono circa 5mila gli
stranieri che hanno richiesto questo tipo di assegno. Gran parte di questi,
però, una volta intascato il malloppo, è tornata nel proprio Paese d’origine,
dove ha potuto condurre – anzi, conduce tuttora – una vita da nababbo alle
nostre spalle.
Quando un italiano fa
richiesta per poter ottenere l’assegno sociale, invece, scattano tutti i
controlli di routine. Vengono setacciati i dati dell’Agenzia delle entrate,
della Camera di commercio e dell’Inps e si verifica che chi ha richiesto
l’assegno sia in regola. Con gli stranieri questi controlli sono tecnicamente
impossibili perché non sempre all’estero – soprattutto nei paesi dell’Est
Europa e del Nord Africa – esistono banche dati. La valutazione dei limiti di
reddito di chi ne fa richiesta si basa quindi su una semplice (e
incontestabile) autocertificazione. E quando l’Inps chiama gli stranieri a
rapporto, ecco che arrivano le scuse più disparate: «Ho perso il passaporto»,
«non riesco più a tornare in Italia», «un mio parente è malato gravemente». Ma
se c’è qualcuno che proprio non riesce a trovare i documenti per rientrare c’è
anche, come ci racconta una fonte, chi ha più passaporti (italiano, straniero,
rinnovato) e presenta all’Inps quello che conviene maggiormente, ovvero quello
che non certifica l’espatrio. Se paragoniamo, poi, l’assegno sociale alle cosiddette
«pensioni minime» si nota che chi usufruisce dell’assegno sociale – ovvero chi
non ha lavorato o non è riuscito a versare contributi adeguati – prende
all’incirca quanto chi ha lavorato tutta una vita e che, magari, percepisce la
pensione minima: 448,52 euro contro 501. Poco più di 50 euro di differenza. A
70 anni scatta però la maggiorazione sociale e, così, la forbice si riduce
ulteriormente. Per il 2013, per esempio, la differenza è stata di soli 13 euro.
Ma c’è un’altra beffa per
i lavoratori italiani: la legge
Fornero stabilisce che un uomo vada in pensione a 66 anni e 3
mesi. Ben un anno in più rispetto a quanto richiesto per l’assegno sociale. Significa che uno straniero che magari non
abita nemmeno in Italia possa godere della pensione prima di un nostro
connazionale.
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