la
moschea di Ravenna
di Carlo Raggi Ravenna, 26 agosto 2014 - La Provincia di Ravenna, al pari di Brescia, Torino, Padova, Bologna
e anche Roma e Napoli, è indicata dal ministero dell’Interno quale zona in cui
è stata svolta un’intensa azione di indottrinamento per la jihad e in cui
potrebbero essere stati reclutati adepti, anche italiani, che ora militerebbero
nelle sanguinarie schiere dell’Isis, ovvero lo Stato islamico dell’Iran e del
Levante, la formazione terroristico-guerrigliera
guidata da Abu Bakr al-Baghdadi, l’estremista sunnita che a
fine giugno annunciò la nascita del nuovo Califfato comprendente territori
dell’Iraq e della Siria. Fonte dell’informazione fornita dal ministro Angelino
Alfano sembra essere una doppia inchiesta coordinata dalla Dda di Bologna e
condotta fra il 2005 e il 2012 anche dalla Digos di Ravenna e che nella prima
fase concentrò l’attenzione su cinque tunisini e un marocchino tutti residenti
fra Faenza, Imola e Bologna e finiti in carcere nell’agosto del 2008 per
associazione eversiva con finalità di terrorismo. Fra questi, un nome e un
volto noto anche a livello internazionale,
Ben Mohamed Khalil Jarraya, tunisino oggi 45enne, noto come
‘Il colonnello’ per aver fatto parte del battaglione di mujihaddin che negli
anni Novanta combatterono a fianco delle milizie bosniache contro i serbi
e il cui nome era inserito negli elenchi americani ed europei per il
congelamento di beni e capitali in quanto personaggio ritenuto «appartenente o associato
ai Talebani». Tutti sono stati condannati a pene fra i tre e i sette anni e
attualmente ‘il comandante’ è in carcere.
L’accusa, in concreto, era quella di aver sostenuto la causa
jihadista svolgendo attività di proselitismo anche ai fini di ‘arruolare’
combattenti da inviare (evento mai avvenuto) sull’allora fronte iracheno. Una
costola di questa inchiesta, nell’autunno del 2011 diede vita a una nuova
indagine che coinvolse dodici persone, residenti nel Faentino e nell’Imolese,
che in qualche modo avevano avuto contatti con in sei arrestati. Vennero tutte
indagate con l’ipotesi di aver anche loro svolto attività finalizzate al
proselitismo fra gli integralisti islamici per avviarli ad azioni terroristiche
in Medio Oriente. Fra gli indagati c’era anche il
presidente del Centro di cultura
islamica di Imola, Abdelghani Tajiri: «Tutto
il materiale che mi fu sequestrato mi è stato restituito, da
allora nessuno mi ha interrogato o mi ha notificato qualcosa. Ritengo che tutto
sia stato archiviato. Degli altri non so nulla, molti non li conoscevo. Io
posso dire di me. Ero e sono ben tranquillo». Dice una fonte dei servizi di intelligence ravennati: «Non ci risulta
che dal Ravennate siano stati in concreto reclutati miliziani per l’Isis. Noi
teniamo monitorato costantemente il panorama, abbiamo contatti con i Centri di
cultura islamica di Ravenna e a Faenza e possiamo dire che la situazione è di
assoluta tranquillità. Oggi semmai il proselitismo viene fatto più attraverso
internet che nelle moschee. Credo proprio che il riferimento che fa il
ministero sia a quelle indagini di qualche anno fa». E se ancora volgiamo lo
sguardo agli anni passati, addirittura emerge la figura di un noto spacciatore
tunisino operante su Ravenna, soprannominato ‘Falco’ che all’epoca — gli anni
Novanta — finanziava la jihad con invio di denaro proveniente dallo spaccio.
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