Il membro del Csm Zanon sulla questione della decadenza del Cav: "La Giunta sollevi il problema. La questione non è Berlusconi ma i rapporti tra poteri in uno Stato di diritto"
Roma - «C'è più di un aspetto della legge Severino che può suscitare dubbi sulla sua costituzionalità. E sarebbe una buona cosa se la Giunta per le elezioni, che è titolata a farlo, sollevasse la questione di legittimità costituzionale, dando modo alla Consulta di pronunciarsi in materia».
Il professor Nicolò Zanon, membro del Consiglio superiore della Magistratura, e professore ordinario di diritto costituzionale all'Università Statale di Milano, proprio in questa veste, nel 2008, fu convocato dalla Commissione affari costituzionali della Camera che stava esaminando la possibilità di estendere l'incandidabilità dei condannati dai consigli comunali e regionali al Parlamento. «All'epoca feci presente i problemi che una simile estensione sollevava, su un piano puramente teorico perché il caso Berlusconi era molto di là da venire. Purtroppo, quando si è approvata nel 2012 la legge Severino, c'era un tale clima di indignazione per gli scandali della politica, dal caso Fiorito in giù, che nessuno osò ricordare che il mandato parlamentare è sottoposto a regole e tutele ben precise».
Quali regole e tutele sono a rischio?
«Quando venne fatta la “Costituzione più bella del mondo”, i padri costituenti si posero molto seriamente il problema di come evitare che poteri esterni, magistratura inclusa, incidessero sulla composizione delle Camere. Per questo vennero creati una serie di sbarramenti, che negli ultimi decenni sono stati indeboliti. Aprendo le porte al rischio concreto che sia la magistratura a decidere chi va eletto e chi no».
Di quali sbarramenti parla?
«Con l'eliminazione, nel 1993, dell'istituto dell'autorizzazione a procedere e - con impatto minore - con questa legge del 2012, si chiede in pratica alle Camere di prendere atto automaticamente delle conseguenze di atti giudiziari. La legge Severino è ovviamente prudente, e scrive che il Parlamento “delibera ai sensi dell'articolo 66 della Costituzione”, quindi lascia un margine di discrezionalità. D'altra parte non potevano scrivere altrimenti, visto che - purtroppo per chi non ama queste garanzie - l'articolo 66 sta scritto lì, proprio nella Costituzione più bella del mondo».
L'articolo 66 è quello che stabilisce che «ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità».
«Esatto. E non si può sostenere che quel giudizio sia semplicemente un atto dovuto: il Parlamento, in quanto organo politico, non è chiamato ad emettere atti dovuti. La Giunta prima e l'aula poi si esprimono in piena discrezionalità politica. Se l'articolo 66 non piace lo si cambi. Ma finché c'è serve ad evitare che sulla composizione delle Camere incidano altri poteri. Il fatto che la legge Severino sia così rigida nel prevedere un automatismo pone il problema della sua costituzionalità».
Molti esponenti politici e giuristi hanno sollevato anche la questione della retroattività, ossia della legittimità di applicare una legge rispetto a reati commessi prima del suo varo.
«Molti invocano una pronuncia del Consiglio di Stato nel 2013 sul caso di un aspirante consigliere regionale, che aveva subito una condanna anni prima. Secondo questa pronuncia l'incandidabilità non è un effetto penale della condanna, e dunque non si potrebbe applicare a questa sanzione il principio di non retroattività».
Il dubbio è risolto?
«Attenti, però: qui parliamo di Parlamento e non di Consiglio regionale. Avrei un dubbio molto serio: quando ho a che fare con effetti automatici ex lege su cui nessuno può intervenire c'è un effetto in senso lato afflittivo. Non è un effetto penale anche questo? Mi piacerebbe che la Corte costituzionale lo chiarisse».
Insomma, la sua speranza è che la Giunta per le elezioni del Senato ponga formalmente la questione alla Consulta?
«Io mi auguro che la Giunta, prima di distruggere un nuovo pezzo dell'autonomia delle Camere, che a questo punto rischia di venire data in mano ad altri poteri, rifletta se non sia il caso di chiarire i delicati profili costituzionali che sono stati sollevati. Ricordandosi che il problema in ballo non è Silvio Berlusconi e il suo destino politico, ma la questione fondamentale dei rapporti tra i poteri in uno Stato di diritto».
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