Richiama il Pd e Napolitano alle proprie responsabilità.
E sprona i militanti: "Io non mollo, prepariamoci al meglio"
Non solo il Colle, ma anche il Pd. Alla fine Silvio Berlusconi decide di
ributtare la palla dall'altra parte del campo e aspettare le mosse dei suoi
interlocutori. Il Cavaliere, infatti, continua a restare in silenzio - a parte
poche battute al telefono con degli attivisti impegnati in una raccolta firme
sulle riviera riminese - ma il messaggio che consegna ormai da tre giorni a chi
ha occasione di vederlo ad Arcore o di parlargli al telefono è chiarissimo: «Io
non mollo e alla pensione non ci penso proprio.
E la grazia non è un problema mio. Una soluzione esiste, quindi ora sta al
Quirinale decidere se farsene carico oppure no. Al Quirinale e anche al Pd».
Dopo alcuni giorni di riflessione, dunque, il Cavaliere è più che mai
deciso ad uscire dalla sua metà campo e smetterla con il catenaccio. Per questo
non solo lui ma anche molti big del Pdl insistono nel chiedere al Pd di
«assumersi le sue responsabilità». Non lo fanno in maniera eclatante con il
Colle, invece, ma solo perché simili prese di posizioni pubbliche sarebbero di
fatto un atto di guerra contro il Quirinale. Anche se non è un mistero che
nelle ultime ore e per le consuete vie ufficiose il messaggio a Giorgio
Napolitano sia stato recapitato: è al Colle che spetta la prossima mossa e sarà
il Colle a doversi assumere la responsabilità di quanto vorrà o non vorrà fare.
E qui sta il punto, perché Berlusconi non ha alcuna intenzione di restare con
il cerino in mano. E se davvero la partita finirà con la detenzione (che siano
arresti domiciliari o servizi sociali) e la successiva decadenza da senatore
l'ex premier è deciso a fare in modo che «ognuno si assuma le sue
responsabilità». In primo luogo il Quirinale, che - questo si è ripetuto in
questi giorni nelle riunioni di Arcore - non avrebbe alcun problema ad
intervenire con un motu proprio e che dovrà «spiegare la sua inerzia a dieci
milioni di italiani» che hanno votato per il Cavaliere. Eppoi il Pd, che non
può illudersi di appoggiare in Giunta per le elezioni la decadenza da senatore
di Berlusconi e pensare di continuare a tenere in piedi un governo di cui il
Pdl - e quindi l'ex premier - è il principale azionista insieme ai Democratici.
Un braccio di ferro, dunque, destinato a durare ancora molti giorni. Anche
perché pubblicamente il Cavaliere si limita a qualche battuta, ma si guarda
bene dall'entrare nel merito prestando il fianco alle critiche piuttosto
prevedibili. Così, quando il senatore Mario Mantovani lo mette in viva voce
davanti a un gazebo di Bellaria dove alcuni militanti raccolgono le firme per i
referendum sulla giustizia, l'ex premier si limita a un «io resisto». «Farò
fino all'ultimo l'interesse del Paese e degli italiani. Voi - aggiunge
Berlusconi - andate avanti con coraggio. Non vi farò fare assolutamente brutte
figure, prepariamoci al meglio».
Un Cavaliere, insomma, che in pubblico preferisce restare prudente. Anche
se i due fronti - Quirinale e Pd - iniziano a essere battuti con una certa
insistenza. Sul primo, per esempio, sono eloquenti le parole di Daniela
Santanché. «Per me - attacca - la nota del Quirinale è irricevibile. Voleva
dire: Berlusconi non rompere le scatole, mettiti fuori dalla politica, stai
accucciato che poi, forse, ti grazio. Non è l'atteggiamento che deve avere
l'arbitro. Napolitano è il presidente di tutti. Non può fare l'arbitro e anche
il giocatore». Ad affondare sul Pd, invece, una buona parte dei big di via
dell'Umiltà. Da Fabrizio Cicchitto («per far vivere un governo bisogna essere
in due») a Daniele Capezzone («Letta fermi i provocatori del Pd») e Maurizio
Gasparri, passando per Augusto Minzolini («O soluzione politica o crisi di
governo»), Roberto Formigoni («Letta garantisca per Berlusconi») e Osvaldo
Napoli («la posizione del Pd è rocambolesca»).
Nessun commento:
Posta un commento