giovedì 9 agosto 2012

SE LA CRISI E’ UNA GUERRA, ALLORA DECIDIAMO STRATEGIA E GUIDA.


LA STORIA NON SI RIPETE MAI. EPPURE, SE DAVVERO E’ IN ATTO UN TERZO CONFLITTO MONDIALE, OCCORRERA’ PORSI IL PROBLEMA DELLE FORZE POLITICHE CHE DEVONO GUIDARE IL PAESE IN FRANGENTI TANTO DRAMMATICI, DI QUALE STRATEGIA SEGUIRE E DI  QUALI SCELTE COMPIERE NEL PREPARARE E GESTIRE IL DOPOGUERRA.
Giuliano Cazzola.- La storia non si ripete mai. Eppure, se davvero è in atto un terzo conflitto mondiale, occorrerà porsi il problema delle forze politiche che devono guidare il Paese in frangenti tanto drammatici, di quale strategia seguire e di quale scelte compiere nel preparare e gestire il dopoguerra. Nel 1945, l’Italia liberata si affidò alla coalizione dei partiti antifascisti. Ben presto però, in un mondo diviso in blocchi imperiali, egemonizzati dalle potenze vincitrici, divenne giocoforza compiere una scelta di campo. L’appartenenza dell’Italia (confermata dalle libere elezioni nel 1948) al mondo occidentale non si limitò a condizionarne le scelte istituzionali, ma determinò anche quelle di carattere economico, riguardanti il modello di sviluppo. La ricostruzione, la ristrutturazione e la riconversione dell’apparato industriale, drogato da decenni di autarchia e distorto dalle produzioni belliche, furono orientate verso quei beni di consumo durevoli la cui domanda era forte sui mercati internazionali. Qui stanno le radici di quel «miracolo economico» che consentì all’Italia di risollevarsi in pochi anni dalle devastazioni materiali ereditate dalla guerra. L’insieme di tali scelte che, nel bene e nel male, furono alla base dell’Italia moderna, avevano un denominatore comune, quasi un atto costitutivo in senso materiale: quella che venne definita la conventio ad excludendum. In sostanza, il Paese poteva essere governato soltanto da forze politiche che accettavano quel modello in tutte le sue componenti. Le altre erano fuori. Certo, come in un contesto di cerchi concentri al primo posto veniva la condivisione delle alleanze politico-militari che contrassegnavano gli ordinamenti internazionali; alle quali però non erano estranee le grandi


opzioni di politica economica e sociale. I partiti che si trovavano su posizioni alternative – malgrado libere elezioni e agibilità democratica – erano esclusi dalle alleanze di governo. La conventio ad excludendum nei confronti del Pci venne meno, quando, dopo la caduta del Muro di Berlino, quel partito si schierò apertamente nel campo della democrazia occidentale ed accettò senza riserve l’economia di mercato. A che cosa si rivolge questa premessa? A sostenere che, oggi, l’Italia ha davanti a sé, mutatis mutandis, problemi di analogo spessore. La vera discriminante della prossima campagna elettorale riguarda la prospettiva europea. Il proseguire verso un’unione politica e una comune strumentazione di governance (in primo luogo, con una risoluta difesa della moneta unica), impone contemporaneamente una forte convergenza per quanto riguarda il risanamento dei conti pubblici. Si può anche criticare Angela Merkel e, come teme Mario Monti, coltivare sentimenti anti-tedeschi. È un fatto però – lo notiamo ad un anno di distanza dalla lettera della Bce del 5 agosto 2011 e nella possibilità che nelle prossime settimane si debba chiedere l’intervento del fondo Salva-Stati con annesse sottoscrizione di impegni e conseguenti verifiche – che la politica non è destinata a cambiare. Se questi sono i fatti, quale credibilità avrà mai un Paese come l’Italia se, nelle elezioni del 2013, possono prevalere partiti e schieramenti orientati in senso opposto al contenuto di quegli impegni solenni che condizionano il sostegno internazionale? Certo, la democrazia non può essere sospesa in nome della crisi. Ma le forze che credono in una prospettiva europea e che, pur con tanti mal di pancia, hanno sostenuto il Governo Monti hanno il dovere di fare fronte comune, dichiarandosi pronti, sul terreno delle alleanze, ad una nuova conventio ad excludendum nei confronti dei partiti e dei movimenti che quella linea politica osteggiano. È una battaglia, questa, che può pure essere perduta, ma che va combattuta fino in fondo.

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