Non è bastato l’appello del creatore del World Wide Web, Sir Tim Berners-Lee, che
invitava gli eurodeputati, oggi a Strasburgo, a cambiare quel testo maledetto.
Del resto, la Commissione Europea e il Consiglio dell’Unione
Europea l’hanno studiata bene, consapevoli che i MEP (gergo tecnico per
riferirsi ai parlamentari europei) se la sarebbero bevuta, ognuno perso nelle cose
sue. Avevano formulato un pacchetto contenente uno specchietto per le
allodole, cioè l’abolizione
dei costi di roaming negli spostamenti tra i vari stati
membri europei, per poi infilarci la polpetta avvelenata, che in questo
caso si chiama: fine della
Net Neutrality. Cos’è la Net Neutrality? E’ quella regola
d’oro della rete in base alla quale “tutti i bit sono creati uguali”.
Ovverosia, fuor di metafora, una volta che sono immessi in rete, non esistono dati di serie A e dati di serie B: le
infrastrutture informatiche che li trasportano (che fanno capo agli internet
service provider cui paghiamo la bolletta e che stendono i cavi) devono
trattarli tutti alla stessa maniera. Sembra cosa di poco conto per chi non è
del mestiere, ma provate a riflettere: cosa succede se un fornitore di accesso
a internet lancia un’offerta per cui vi dà internet gratis, o a poco prezzo, ma
vi mette solo il Corriere della Sera e Repubblica, mentre tutto il resto dei
siti internet sono consultabili solo pagando 3 volte tanto? Succede che avere
accesso a internet non significa più disporre della libertà di consultare
qualunque informazione sia presente in rete, ma solo quella prodotta dai grossi
siti convenzionati, cioè solo quella che il nostro fornitore vorrà farci
leggere. Certo, uno potrebbe pagare di più per leggere Byoblu, ma siccome c’è
crisi e la gente vuole risparmiare,
ecco che si creano
automaticamente siti a potenziale larga diffusione, e siti di nicchia. Signori, il monopolio è servito.
Altro esempio: se guardi
video o notiziari provenienti dal circuito di un grande fornitore media, il
video scorre veloce; se viceversa guardi un video proveniente dal canale
Youtube di un giornalista indipendente, il video arriva con molta lentezza e lo
potrai vedere solo se hai molta, molta pazienza. Il che significa che la forza dirompente della libertà di
espressione in rete (che implica, va da sé, la possibilità di
essere ascoltati senza filtri o sabotaggi preventivi), se ne va a farsi
benedire. Non solo: la stessa libera competizione se ne va a farsi benedire:
cosa succede infatti se una nuova società lancia un servizio di video-streaming
simile (ma più innovativo e conveniente) a quello di Telecom, solo che non ha
gli stessi accordi con i fornitori di rete? Succede che, mentre oggi se la
gioca ad armi pari, domani il suo servizio non verrà visto da nessuno.
Oppure, ancora: gli
internet service provider potranno, a loro discrezione, rallentare il traffico internet su
determinati servizi, se pensano che vi sia il rischio di una
congestione, il che praticamente li mette in grado di rallentarvi il traffico
(che ne so: quello che arriva da un sito web molto trafficato, o i podcast)
quando vogliono (dato che possono sempre sostenere di avere fatto una
previsione sbagliata). Tradotto: se c’è una situazione, una protesta, una forma
di aggregazione in rete che va tenuta sotto controllo, può essere rallentata a
piacere, quanto basta per evitare che monti troppo ed esca fuori controllo.
Magari dopo aver ricevuto una telefonata da un qualche ministero…
Bene, la Net Neutrality è
stata una roccaforte da difendere con le unghie e con i denti fin dalla nascita
di internet. Negli Usa ci hanno provato ad espugnarla, ma non ci sono riusciti.
E i nostri cari europarlamentari cosa fanno? Oggi avevano la possibilità di
approvare una serie di emendamenti per ridurre il rischio che la nuova
normativa potesse dare il via libera alla fine della libertà della rete. Erano
stati avvertiti, pregati, martellati. Invece, al dibattito di questa mattina
che illustrava la proposta di legge prima del voto, hanno partecipato solo in 50 su 751.
In pratica se ne sono altamente fregati, aprendo un varco a livello mondiale
che ora verrà sfruttato dalle grosse lobby per trasformare la rete, da prezioso
bene di pubblico dominio, in un loro prodotto da commercializzare. Goodbye freedom! Andremo a
controllare chi c’era e chi non c’era, e dovranno renderne conto all’opinione
pubblica.
E mentre una grande
coalizione internazionale, raccoltasi intorno al Center for Internet and Society della Stanford Law School, composta
da accademici, ONG, investitori di ogni livello e società di tutti i tipi,
lanciava un appello al Parlamento Europeo per accogliere gli
emendamenti (il cui voto di oggi non avrebbe fatto slittare l’adozione del
provvedimento sui costi di roaming), qui al solito ce la menavamo con
tutt’altri problemi. Ancora adesso, mentre vi hanno appena sfilato internet da sotto il naso (ne parla
perfino la BBC), i nostri quotidiani nazionali vi raccontano delle
dimissioni di Ignazio Marino.
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