IPOTESI SBAGLIATA E RISULTATI
INUTILI: LO STUDIO EPIDEMIOLOGICO NON HA VALORE SCIENTIFICO. EPPURE E’ STATO
USATO DAI PM
Franco
Battaglia
- Il rapporto epidemiologico moralmente responsabile dell'incarcerazione (ancorché
ai domiciliari) di persone innocenti avrà un prezzo elevato, come immagino
risulti dalla parcella, ma non ha alcun valore scientifico: è un esercizio
accademico di statistica fondato su ipotesi errate e risultati inconcludenti. Come
si evince da ciò che scrivono gli stessi autori nel capitolo reso disponibile
(quello conclusivo). Il primo quesito posto dai committenti chiedeva inquinanti
e patologie associate. Se la domanda avesse interessato non l'Ilva ma la vostra
automobile, la risposta sarebbe stata la stessa. Correttamente gli autori
precisano che «stabilire se l'esposizione a un agente sia causalmente associata
a effetti sanitari è semplice quando l'esposizione è condizione necessaria e
sufficiente per la patologia». Ad esempio, contraete epatite B se e solo se
esposti al virus. Se invece il nesso è casuale (e questo è il caso di cui si
tratta qui) le cose si complicano dannatamente e, in particolare, non si può
decidere né se gli esposti sviluppano la patologia né se chi l'ha sviluppata lo
ha fatto perché esposto. Bisogna allora affidarsi alla statistica, scienza che
più di una volta gli epidemiologi hanno dimostrato di non sapere usare. Quelli
del rapporto candidamente dichiarano di avere assunto che gli effetti degli
inquinanti sono lineari-e-senza-soglia. Grave, gravissimo errore, che da solo
basta a inficiare tutti i successivi risultati. Per capire l'ipotesi,
supponiamo di avere accertato che ingerire in una volta la dose di caffeina
contenuta in 200 caffè vi porti all'obitorio con probabilità 1/2. L'assunzione
lineare-senza-soglia dice che con la caffeina di un caffè la probabilità di
morire è di 1/400. Attenzione: la prima
probabilità detta (1/2) è
vera ed accertata, l'ultima (1/400) è una congettura. Ed è sicuramente falsa, ma
pur tuttavia utile in ambito protezionistico. Altrettanto sicuramente, però,
non può essere usata, come fanno gli epidemiologi inesperti, in ambito
patologico. Essi così ragionano: se ipotizziamo che la probabilità di morire
dopo aver bevuto un caffè è 1/400, allora se 400 individui ne hanno bevuto uno,
uno di essi deve perciò essere morto. E se a Taranto ieri mattina 400mila
individui hanno preso un caffè, ieri mattina sono perciò deceduti 1.000
tarantini.
L'errore è nell'aver usato quel dato (probabilità
1/400) per valutazioni patologiche. Per capirci: se mi chiedete quanti caffè
potete bere in una volta accettando una probabilità di morire di 1/400, io vi
suggerisco il limite di un espresso; se accettate una probabilità di morire di
1/200 vi concedo un espresso doppio. Questa è protezione. Passare alla
patologia non si può. Lo fecero gli epidemiologi che all'indomani della
disgrazia di Chernobyl pronosticarono decine di migliaia di decessi per tumore
alla tiroide: furono invece registrati, in 25 anni, 15 decessi per tumore alla
tiroide, tanti quanti se ne registrano, in 25 anni, in qualunque altra parte
del mondo ugualmente vasta. E lo fecero gli epidemiologi che stimarono un
incremento del 500% dei casi di leucemia attorno alle antenne di Radio Vaticana:
non vi fu alcun incremento. Gli autori del rapporto-Ilva precisano che
l'ipotesi lineare-senza-soglia è coerente con la normale prassi scientifica:
sì, ripeto, ma solo in ambito protezionistico.
Nei quartieri incriminati gli autori attribuiscono
alle emissioni dell'Ilva 9 decessi l'anno per 100mila abitanti, che sono,
dicono, l'1,2% dei decessi. Cioè nei quartieri incriminati vi sono 750 decessi
l'anno ogni 100mila abitanti. A parte il fatto che in Italia muoiono ogni anno
1.000 persone ogni 100mila abitanti, attribuire precisa causa a 9 casi su 750
può farsi solo con un esercizio accademico di statistica necessariamente
inficiato da ipotesi errate. Gli stessi autori lo scrivono: «La popolazione
studiata è piccola, il numero di eventi poco numeroso e ciò comporta forte
incertezza nelle stime e ampi intervalli di confidenza». È vero che aggiungono:
«I risultati sono coerenti con la letteratura», ma se il loro rapporto farà mai
parte della letteratura, anch'esso sarà invocato da un altro rapporto
stravagante a sostegno delle proprie stravaganze.
Taranto è uno dei principali porti di distribuzione di
sigarette di contrabbando, che la polizia ha trovato contraffatte, contenenti
aggiuntive sostanze tossiche. Nei quartieri incriminati hanno precarie condizioni
socioeconomiche, ed è in questi quartieri che i fumatori acquistano sigarette
di contrabbando, che costano meno. Hanno gli Autori considerato questo
importante fattore? Sulle sigarette sono inequivocabili: «Non abbiamo avuto la
possibilità di controllare per i fattori di rischio individuali il fumo di sigarette».
Di sigarette contraffatte, poi, sembra ne disconoscano l'esistenza.
Scrivono, ancora: «Molti lavoratori prima che all'Ilva
avevano prestato servizio presso l'Arsenale, al quale abbiamo chiesto dati che
non sono pervenuti. Non è stato pertanto preso in considerazione questo fattore
confondente, che però riteniamo estremamente improbabile». Se lo ritenevano
estremamente improbabile, perché hanno chiesto i dati? A leggere il rapporto
sembra che la loro irrilevanza sia emersa solo dopo che ci si è dovuti
rassegnare alla loro indisponibilità.
Infine, ma non ultimo, ancora gli stessi autori: «È
chiaro che per quanto riguarda i tumori l'esposizione rilevante è occorsa negli
anni '60-'80». Già, ma i dati di inquinamento sono recenti, e in quegli anni
l'inquinamento dal parco automobilistico, ad esempio, faceva impallidire quello
di qualunque azienda.
In tutto ciò che ho letto una cosa è chiara: gli
autori si raccomandano che l'indagine epidemiologica prosegua. Ma è, questa, la
raccomandazione finale di ogni indagine epidemiologica. I magistrati e i responsabili
politici dovrebbero tenere bene in mente che l'epidemiologia, ancorché
interessante strumento d'indagine, non è una scienza.
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