giovedì 2 agosto 2012

IL MUCCHIO SELVAGGIO DI BERSANI



Nervoso, accaldato, a tratti confuso ma felice come uno scolaretto al primo giorno di scuola. Così Bersani ieri, sullo sfondo di un pannello rosso fuoco che spiegava più di mille parole, ha presentato la sua candidatura a premier e il programma dei cento giorni del governo che vorrebbe. Una via di mezzo tra un “Mucchio selvaggio” da terzo millennio e una riedizione del vecchio Pentapartito con il Pd al posto della Dc e con Casini ,Vendola e altre ruote di scorta al posto di La Malfa, Malagodi e Saragat!  Sarà per la calura eccessiva, resa appena più sopportabile dalla freddezza della platea, che il segretario ha sintetizzato il vasto programma quasi in uno slogan per titoli. Più diritti alle coppie gay, piena cittadinanza ai figli di immigrati e Patrimoniale immobiliare e mobiliare (magari anche bancaria) sui redditi medio alti.  Ma perché di fronte a questo ex comunista di provincia, bonario quanto ambizioso e pronto ad andare sino in fondo (Renzi permettendo), il popolo post comunista e post democristiano rimane scettico, dubbioso se non rassegnato?  Una risposta riguarda le divisioni dentro il partito tra i pochi che credono che Bersani sia il “cavallo” giusto per vincere e i molti che non lo credono e si stanno logorando fingendo di farlo. Sono uniti dal desiderio inconfessabile di votare prima possibile per togliersi il problema, aggravato dal rapporto con gli alleati che dovrebbero spianare il cammino al vincitore. E qui si inserisce il nodo della legge elettorale e la zeppa insormontabile di un PdL che ha escogitato un modello di riforma che piace a Casini come a nessun altro. Ecco perché Bersani ieri insisteva sul premio alla coalizione che vince (e non al partito) nel terrore che Pier si svincoli da impegni prima del voto, tenga le mani libere e corra da solo, valutando ad urne chiuse se e come allearsi. Bersani ha enunciato tre proposte di sinistra che hanno fatto storcere il naso alla componente cattolica e a quella pattuglia crescente di riformisti filo Monti che lo considerano ormai superato rispetto alla leadership di un grande partito polare di massa.  Da Veltroni a Letta, da Gentiloni a Fioroni sanno che l’opinione pubblica moderata non potrà mai eccitarsi per questo manifesto di intenti a favore dei gay, degli immigrati o di una super patrimoniale che colpisce comunque chi le tasse le paga già. E perché Casini dovrebbe accettare lo stesso ruolo di Vendola, gli stessi spazi, gli stessi vincoli di coalizione che Bersani vuole per evitare la fine di Prodi e della sua Unione?

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