Inaccettabile
la scelta di spegnere l’altoforno dell’Ilva, non sarà certamente una cosa
breve: serviranno dai sette ai dodici mesi. I rischi sono elevatissimi. La vita media di un impianto come quello di Taranto è di 15 anni,
lavorando a ciclo continuo. Spegnere gli altoforni significa chiudere per
sempre l’azienda e licenziare migliaia di lavoratori. Una catastrofe per
la già sofferente economia italiana. Lo stabilimento pugliese, il più grande
d’Europa, ha cinque altoforni, dei quali, attualmente, quattro in funzione. Il
blocco dell’attività produrrà danni enormi a tutta la filiera siderurgica italiana
e, in particolare, alla regione Puglia guidata da un fabulatore. L’impianto più
complesso da fermare è la cokeria, formata da una serie di circa 200 forni in
sequenza. In questo caso il timore è che si attivino esplosioni a catena. Anche
per lo spegnimento degli altoforni i rischi sono elevatissimi, il minimo errore
può provocare il cedimento interno del materiale refrattario. L’Italia produce
29 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, e oltre un terzo provengono proprio
dall’Ilva di Taranto. Con lo stop inevitabilmente ne risentiranno anche tutte
quelle aziende nazionali ed europee che usano il prodotto finito. E il governo
che fa? Sta a guardare? Non fa nulla per difendere un settore fondamentale per
la nostra economia. E i tanti lavoratori che perderanno il posto di lavoro chi
li sfamerà? Le loro famiglie di cosa vivranno una volta terminata la cassa
integrazione? Evidentemente a Monti e ai suoi ministri questo interessa poco.
Forse con la chiusura dell’Ilava si è deciso di fare un altro regalo alla
Germania, già pronta ad assorbire questa fetta di mercato in un settore
strategico dell’economia vera, quella produttiva. Mi appello al primo ministro
Monti e al suo esecutivo, salviamo l’Ilva, conserviamo i posti di lavoro,
salviamo le famiglie dei lavoratori italiani. I giudici non possono contribuire
ad acuire la crisi. Anche il santo padre Benedetto XVI,
durante l’Angelus di Piazza San
Pietro, ha rivolto un invito affinché si trovi una soluzione per la fabbrica
tarantina: “Mentre assicuro la mia preghiera e il sostegno della Chiesa, esorto
tutti al senso di responsabilità e incoraggio le Istituzioni nazionali e locali
a compiere ogni sforzo per giungere ad una equa soluzione della questione, che
tuteli sia il diritto alla salute, sia il diritto al lavoro, soprattutto in
questi tempi di crisi economica”. Il problema riguarda tutti i settori
dell’industria metalmeccanica italiana. Se non si interverrà in tempi rapidi,
le ricadute sull’economia italiana
saranno catastrofiche.
Diamo all’Ilva il tempo necessario
(anni e non mesi) per ristrutturarsi, per adeguare alle regole sull’ambiente,
non possiamo strangolare l’economia in nome di un ambientalismo straccione. La
pezza sarebbe certamente peggiore del buco. Fabio FILIPPI Consigliere Regionale PDL
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