ENTRAMBI I
PAESI SI MISURANO CON UN DEBITO ESORBITANTE, UN SETTORE STATALE PREPONDERANTE,
UNA SPESA PUBBLICA ECCESSIVA, POCA COMPETITIVITA’ E UN GRAN BISOGNO DI RIAVVIARE
AL PIU’ PRESTO UN PROCESSO DI CRESCITA
QUANDO I “RICCHI” SPOSTANO I LORO YACHT A PIANGERE SONO SOLO I POVERI-.
Francia
e Italia: due paesi a confronto con la crisi.
Anche se le differenze sono notevoli - principalmente perché in Francia lo
Stato c’è e funziona - i due paesi hanno simili problemi: un debito esorbitante, un settore statale preponderante, una spesa pubblica eccessiva, poca competitività e un gran bisogno di
riavviare al più presto un virtuoso processo di crescita. Le vecchie ricette
fondate sull’illusione dirigistica di trovare la giusta “politica industriale”
per far ripartire l’economia non hanno funzionato né in Francia né in Italia.
Così, faute de mieux si
ricorre all’imposizione fiscale. E’ quanto sta
accadendo con la prima finanziaria dell’era Hollande: 20 miliardi di imposte in più, divise
tra imprese e privati, alle quali si aggiunge l’effetto trascinamento delle
misure già decise in precedenza. C’è per la verità anche la promessa di
una diminuzione di 10 md di spesa pubblica. Ma come accade spesso in
questi casi, le imposte restano e le promesse, al di là
delle migliori intenzioni, sfumano. E’ quanto è successo
in Italia, dove il governo Monti ha
immediatamente inasprito la pressione fiscale e si è poi dovuto confrontare con
le resistenze dell’apparato statale e delle varie lobbies che
rischiano di rendere vani o comunque spostare nel tempo i tagli promessi nella
così detta spending review. Anche le
recenti
assicurazioni
che facevano sperare in una retrocessione ai privati e alle imprese dei
risultati dei primi tagli alla spesa pubblica sono rimaste per il momento
lettera morta.
Le
similitudini non finiscono qui: così come Hollande ha
imposto la tassazione al 75% per i redditi delle persone fisiche superiore a
1,000,000 di euro, anche nella prima manovra del governo Monti vi erano delle
imposte dalla forte connotazione politica come le tasse sugli aeromobili e gli
yacht. Il risultato è stato che i “ricchi” italiani hanno
spostato i loro yacht in Francia, Slovenia, Croazia e il gettito
effettivo è stato molto limitato. Per contro il danno ai
‘’poveri’’, cioè coloro che lavorano sulle imbarcazioni
ancorate nei porti o nei cantieri, è stato molto più significativo. Il rischio,
più che concreto, è che i pochi colpiti dalla tassa al 75% (banchieri, top
manager, avvocati d’affari, ecc.) si spostino a Londra, in Belgio o in Svizzera
(ovvero si avvalgano di strutture di tipo anglo-sassone per distribuire su base
mondiale i propri ricavi e dunque assoggettandoli solo in parte assai limitata
all’imposizione in Francia), creando - oltre che un danno d’immagine - un reale
pregiudizio economico per la Francia.
Si
capisce che per tutti i governi sia molto più facile tassare che tagliare le spese.
Ma è questa la strada giusta? In Italia, nel conformismo generale, si sta levando una voce diversa. Un nuovo
movimento politico denominato Fermare il Declino ha
lanciato a fine luglio, con un appello su sei giornali nazionali, un programma
ambizioso in 10 punti e sta
raccogliendo crescenti consensi tra gli italiani stanchi dei partiti
tradizionali che hanno condotto l’Italia sull’orlo del baratro. In poche
settimane sono arrivate oltre 25.000 adesioni (che
continuano ad aumentare) e ha creato una rete nel paese. Ora si appresta a
organizzare una Convention a dicembre nella quale intende fondersi con tutti
gli altri gruppi e movimenti che si riconoscono nei principi di libertà
economica, concorrenza, meritocrazia. Tra questi, il più significativo ad oggi
è Italia Futura, che fa capo a Luca Cordero di Montezemolo, Presidente di
Ferrari e già Presidente di Confindustria). Un’area politica che, secondo le
prime stime, potrebbe raggiungere il 20% dei voti nelle elezioni della prossima
primavera.
I
punti principali della ricetta economica per la crescita proposti
da Fermare il Declino sono lariduzione del debito pubblico
di almeno il 6 % in 5 anni, un massiccio programma diprivatizzazioni e cessione dei beni immobili
dello Stato e degli enti locali, la riduzione delle imposte del 5 %
in 5 anni, un’ampia liberalizzazione dei
settori dell’economia ingessati, con una forte iniezione di concorrenzialità,
l’abbandono dei sussidi alle imprese per
favorire invece i contrinbuti ai giovani disoccupati.
Un
programma che, a ben vedere, potrebbe essere
applicato con qualche adattamento anche in Francia, se veramente si vuole dare
uno choc alla sua economia. Non ci resta che sperare che, passata l’ubriacatura
delle elezioni, si abbandonino dogmatismi e facili promesse elettorali per
perseguire un rigoroso programma di tagli e
sostegno alla crescita, scommettendo sul lungo termine, In fin
dei conti, è molto più facile per un presidente di sinistra, all’inizio del
proprio mandato, far passare queste misure in modo non conflittuale. Sarebbe
una bella notizia, non solo per la Francia, ma per tutta l’Europa. Chissà:
dopotutto, “in Francia tutto accade, soprattutto ciò che è impossibile”.di Alberto Saravalle,
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