domenica 21 ottobre 2012

FRANCIA E ITALIA: E’ PIU’ FACILE TASSARE CHE TAGLIARE


ENTRAMBI I PAESI SI MISURANO CON UN DEBITO ESORBITANTE, UN SETTORE STATALE PREPONDERANTE, UNA SPESA PUBBLICA ECCESSIVA, POCA COMPETITIVITA’ E UN GRAN BISOGNO DI RIAVVIARE AL PIU’ PRESTO UN  PROCESSO DI CRESCITA QUANDO I “RICCHI” SPOSTANO I LORO YACHT A PIANGERE SONO SOLO I POVERI-.
Francia e Italia: due paesi a confronto con la crisi. Anche se le differenze sono notevoli - principalmente perché in Francia lo Stato c’è e funziona - i due paesi hanno simili problemi: un debito esorbitante, un settore statale preponderante, una spesa pubblica eccessivapoca competitività e un gran bisogno di riavviare al più presto un virtuoso processo di crescita. Le vecchie ricette fondate sull’illusione dirigistica di trovare la giusta “politica industriale” per far ripartire l’economia non hanno funzionato né in Francia né in Italia.
Così, faute de mieux si ricorre all’imposizione fiscale. E’ quanto sta accadendo con la prima finanziaria dell’era Hollande: 20 miliardi di imposte in più, divise tra imprese e privati, alle quali si aggiunge l’effetto trascinamento delle misure già decise in precedenza.  C’è per la verità anche la promessa di una diminuzione di 10 md di spesa pubblica.  Ma come accade spesso in questi casi, le imposte restano e le promesse, al di là delle migliori intenzioni, sfumano. E’ quanto è successo in Italia, dove il governo Monti ha immediatamente inasprito la pressione fiscale e si è poi dovuto confrontare con le resistenze dell’apparato statale e delle varie lobbies che rischiano di rendere vani o comunque spostare nel tempo i tagli promessi nella così detta spending review. Anche le recenti


assicurazioni che facevano sperare in una retrocessione ai privati e alle imprese dei risultati dei primi tagli alla spesa pubblica sono rimaste per il momento lettera morta.
Le similitudini non finiscono qui: così come Hollande ha imposto la tassazione al 75% per i redditi delle persone fisiche superiore a 1,000,000 di euro, anche nella prima manovra del governo Monti vi erano delle imposte dalla forte connotazione politica come le tasse sugli aeromobili e gli yacht.  Il risultato è stato che i “ricchi” italiani hanno spostato i loro yacht in Francia, Slovenia, Croazia e il gettito effettivo è stato molto limitato.  Per contro il danno ai ‘’poveri’’, cioè coloro che lavorano sulle imbarcazioni ancorate nei porti o nei cantieri, è stato molto più significativo. Il rischio, più che concreto, è che i pochi colpiti dalla tassa al 75% (banchieri, top manager, avvocati d’affari, ecc.) si spostino a Londra, in Belgio o in Svizzera (ovvero si avvalgano di strutture di tipo anglo-sassone per distribuire su base mondiale i propri ricavi e dunque assoggettandoli solo in parte assai limitata all’imposizione in Francia), creando - oltre che un danno d’immagine - un reale pregiudizio economico per la Francia.
Si capisce che per tutti i governi sia molto più facile tassare che tagliare le spese.  Ma è questa la strada giusta?  In Italia, nel conformismo generale, si sta levando una voce diversa. Un nuovo movimento politico denominato Fermare il Declino ha lanciato a fine luglio, con un appello su sei giornali nazionali, un programma ambizioso in 10 punti e sta raccogliendo crescenti consensi tra gli italiani stanchi dei partiti tradizionali che hanno condotto l’Italia sull’orlo del baratro. In poche settimane sono arrivate oltre 25.000 adesioni (che continuano ad aumentare) e ha creato una rete nel paese. Ora si appresta a organizzare una Convention a dicembre nella quale intende fondersi con tutti gli altri gruppi e movimenti che si riconoscono nei principi di libertà economica, concorrenza, meritocrazia. Tra questi, il più significativo ad oggi è Italia Futura, che fa capo a Luca Cordero di Montezemolo, Presidente di Ferrari e già Presidente di Confindustria). Un’area politica che, secondo le prime stime, potrebbe raggiungere il 20% dei voti nelle elezioni della prossima primavera.
I punti principali della ricetta economica per la crescita proposti da Fermare il Declino sono lariduzione del debito pubblico di almeno il 6 % in 5 anni, un massiccio programma diprivatizzazioni e cessione dei beni immobili dello Stato e degli enti locali, la riduzione delle imposte del 5 % in 5 anni, un’ampia liberalizzazione dei settori dell’economia ingessati, con una forte iniezione di concorrenzialità, l’abbandono dei sussidi alle imprese per favorire invece i contrinbuti ai giovani disoccupati. 
Un programma che, a ben vedere, potrebbe essere applicato con qualche adattamento anche in Francia, se veramente si vuole dare uno choc alla sua economia. Non ci resta che sperare che, passata l’ubriacatura delle elezioni, si abbandonino dogmatismi e facili promesse elettorali per perseguire un rigoroso programma di tagli e sostegno alla crescita, scommettendo sul lungo termine, In fin dei conti, è molto più facile per un presidente di sinistra, all’inizio del proprio mandato, far passare queste misure in modo non conflittuale. Sarebbe una bella notizia, non solo per la Francia, ma per tutta l’Europa. Chissà: dopotutto, “in Francia tutto accade, soprattutto ciò che è impossibile”.di Alberto Saravalle

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