Luigi Oliveri La Corte dei conti è chiamata a un
controllo semestrale sull’andamento delle gestioni di comuni e province. Per l’ennesima
volta, produrrà solo carte e burocrazia. Perché manca quello che sarebbe necessario:
i controlli preventivi sugli atti, svolti da organi esterni e totalmente
indipendenti.
IL QUESTIONARIO
DELLA CORTE DEI CONTI La riforma dei controlli, fissata dal Governo col decreto
legge 174/2012, appare ancora lontana dal poter contrastare in modo efficace la
cattiva gestione di Regioni ed enti locali. Il compito affidato alla Corte dei
conti di compiere un controllo semestrale sull’andamento delle gestioni
di comuni e province pare destinato, per l’ennesima volta, a creare carte e
burocrazia, senza potere realmente garantire il risultato di decisioni
legittime e utili per i cittadini. Per adempiere al suo compito, la
magistratura contabile ha infatti approvato delle Linee guida (delibera
4/2013). Sostanzialmente, si tratta di un questionario, composto di decine e
decine di domande, subordinate, indicazioni dal generale al minimo dettaglio. Se
ne consiglia l’attenta lettura. A molti ricorderà il famoso “740 lunare” di
alcuni anni fa: è un groviglio inestricabile di quesiti, indicazioni,
precisazioni, che richiederebbe un sistema informativo integrato e completo,
per evitare che la formazione del referto di controllo richiesto si trasformi
in un adempimento pesantissimo, come invece accadrà, proprio per l’assenza di
un sistema di raccolta dei tantissimi dati previsti. Rispetto alla funzione di
controllo che in astratto dovrebbe svolgere, colpiscono alcune domande:
“L’organizzazione dei singoli servizi è stata strutturata sulla base della
rilevazione delle esigenze della popolazione?”; oppure “Sono emerse criticità,
nella gestione dei servizi pubblici locali, anche in virtù di sopravvenute ed
imprevedibili esigenze di carattere straordinario che abbiano richiesto interventi
non programmati?”; o, infine “Quali metodologie adotta il controllo strategico
per monitorare l’impatto socio-economico dei programmi dell’Ente?”.
Sembra evidente che un simile sistema di controllo non riesca a cogliere un obiettivo superiore a quello di fungere da deterrente alla sottoscrizione di dichiarazioni false. Ma l’esperienza insegna che se le amministrazioni sono intenzionate a gestire in modo scorretto, amministratori e dirigenti compiacenti sono capaci di sottoscrivere di tutto. Si tratta, a ben vedere, di un surrogato di controllo esterno, e forse la Corte dei conti meglio o di più non poteva fare, se non elaborare un questionario di tale natura.
Questo però non significa che il questionario assolva in modo diretto ad alcuna funzione di controllo: chiede agli enti se hanno controllato e in che modo. Un’alluvione di burocrazia. Che può consentire a qualcuno di fregiarsi del merito di aver introdotto sistemi di controllo “rigorosi”. Ma che in realtà producono carte su carte, senza dirigere la rotta verso le gestioni corrette e virtuose. In effetti, la riforma dei controlli sconta un vizio genetico piuttosto grave: tutto prevede, tranne quello che sarebbe necessario: la riproposizione dei controlli preventivi sugli atti degli enti, svolta non da organi interni, ma esterni e totalmente indipendenti. Soffocare l’attività operativa per compilare questionari contorti e complicati due volte l’anno (il referto alla Corte dei conti è semestrale) non pare assolvere ad alcuna efficace modalità di prevenzione. Sarebbe molto più utile e meno defatigante un controllo sui singoli provvedimenti, anche a campione, soprattutto considerando che tale modalità operativa, pur non essendo ovviamente l’unica, si integra perfettamente e necessariamente con quella della legge “anticorruzione”.
Sembra evidente che un simile sistema di controllo non riesca a cogliere un obiettivo superiore a quello di fungere da deterrente alla sottoscrizione di dichiarazioni false. Ma l’esperienza insegna che se le amministrazioni sono intenzionate a gestire in modo scorretto, amministratori e dirigenti compiacenti sono capaci di sottoscrivere di tutto. Si tratta, a ben vedere, di un surrogato di controllo esterno, e forse la Corte dei conti meglio o di più non poteva fare, se non elaborare un questionario di tale natura.
Questo però non significa che il questionario assolva in modo diretto ad alcuna funzione di controllo: chiede agli enti se hanno controllato e in che modo. Un’alluvione di burocrazia. Che può consentire a qualcuno di fregiarsi del merito di aver introdotto sistemi di controllo “rigorosi”. Ma che in realtà producono carte su carte, senza dirigere la rotta verso le gestioni corrette e virtuose. In effetti, la riforma dei controlli sconta un vizio genetico piuttosto grave: tutto prevede, tranne quello che sarebbe necessario: la riproposizione dei controlli preventivi sugli atti degli enti, svolta non da organi interni, ma esterni e totalmente indipendenti. Soffocare l’attività operativa per compilare questionari contorti e complicati due volte l’anno (il referto alla Corte dei conti è semestrale) non pare assolvere ad alcuna efficace modalità di prevenzione. Sarebbe molto più utile e meno defatigante un controllo sui singoli provvedimenti, anche a campione, soprattutto considerando che tale modalità operativa, pur non essendo ovviamente l’unica, si integra perfettamente e necessariamente con quella della legge “anticorruzione”.
Invece, il Dl 174/2012 ha lasciato l’opera incompiuta. La Corte dei conti in sostanza registra ogni sei mesi quali strumenti di controllo siano stati utilizzati e acquisisce alcuni dati. I controlli veri e propri, continuano a essere affidati a soggetti interni. Per altro, quelli preventivi, da effettuare prima dell’adozione dei provvedimenti sono rimessi al medesimo soggetto che li approva. Quelli successivi, in comuni e province, sono assegnati alla direzione e cura dei segretari comunali e provinciali, soggetti a uno spoils system molto intenso, sostanzialmente privati di quella terzietà e indipendenza (in particolare dagli organi politici a cui debbono l’incarico), invece indispensabili per un sistema di controllo realmente efficace. Si può obiettare che controlli preventivi potrebbero essere di ostacolo alla celerità dell’azione amministrativa. La tecnica del campionamento scongiurerebbe in parte il problema, mentre, in ogni caso, si potrebbero concentrare le verifiche solo su alcuni provvedimenti fondamentali provvedimenti: le approvazioni dei bandi, le concessioni di contributi e sussidi, gli atti di autorizzazione (comunque denominati) di tipo commerciale ed edilizia. Del resto, la legge 190/2012 “anticorruzione” spinge verso questo tipo di controlli, ma ripetendo l’errore di affidarli a soggetti interni.
Altro punto delicato è l’assenza di un controllo di merito sugli effetti della spesa. La trasparenza totale e la valutazione dei cittadini sull’azione non bastano, per quanto siano lo spunto per una “sanzione” politica.
La mala gestione non discende, però, solo da illegittimità o procedure di spesa scorrette, bensì anche da scelte e decisioni. Per fare un esempio, gli organi di controllo dovrebbero essere messi nelle condizioni di sindacare sull’opportunità della scelta di affrontare spese non connesse alle funzioni fondamentali dell’ente locale che si trovi in disequilibrio finanziario tale da sfiorare la violazione del patto di stabilità o le condizioni di pre-dissesto. Ma la semplice raccomandazione rivolta a titolo “collaborativo” al consiglio, come prevede l’attuale impianto dei controlli successivi non basta. Deve essere data la possibilità di rimuovere gli effetti di provvedimenti inopportuni, anche se magari con efficacia non retroattiva, individuando e colpendo le responsabilità di chi li adotta. A controprova della necessità di potenziare anche controlli successivi di merito basti pensare che recentemente, all’inaugurazione dell’anno giudiziario della Campania, il procuratore regionale ha tuonato contro le “partecipate” degli enti locali, stigmatizzando l’accumulo di 34 miliardi di euro di debito. Non pare, tuttavia, che tra relazioni e referti della magistratura contabile si sia in grado di evitare che simili disfunzioni si verifichino, le si possono solo registrare e denunciare, quando il danno si è già determinato. Probabilmente, una tra le riforme più urgenti è il ripensamento del sistema dei controlli, vulnerato dalla riforma del Titolo V, prendendo atto che questionari e referti non bastano. Le cattive gestioni vanno arginate possibilmente prima che si realizzino.
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