lunedì 5 novembre 2012

I POLITICI DI DESTRA E DI SINISTRA NON HANNO LA BENCHE’ MINIMA IDEA DI COSA SIA IL PRINCIPIO DI SOVRANITA’ NAZIONALE




La classe politica della cosiddetta Seconda Repubblica si sta dissolvendo a causa della propria voracità, incapacità ed ignoranza. Una inadeguatezza che coinvolge non soltanto il centrodestra con tutto il suo contorno di mignotte e faccendieri issati sugli scranni parlamentari da un capo mostratosi fin troppo generoso con i suoi fidi ma anche quel centrosinistra i cui esponenti hanno dimostrato di non essere molto migliori della concorrenza una volta arrivati al potere ed avere assunto incarichi di governo. Quel centrosinistra fatto di democristiani di sinistra e di post comunisti convertiti al Libero Mercato legittimati a governare dopo la tempesta di Mani Pulite che aveva azzerato i vertici dei due partiti, la DC e il PSI, che costituivano il perno del sistema politico e ai quali doveva essere fatta pagata una politica un po’ troppo autonoma in campo internazionale, in particolare nell’area del Mediterraneo e del Vicino Oriente. Ma si trattava pur sempre di politici cresciuti in partiti che avevano una preparazione culturale, dei valori di riferimento e soprattutto una coscienza precisa di quello che era l’interesse nazionale del nostro Paese. Quelli che invece manca totalmente in quelli che oggi affollano Camera e Senato che sembrano non sapere nemmeno dove sorga il sole. Figuriamoci quindi se i politici di destra e di sinistra possano avere la benché minima idea di cosa sia il principio della Sovranità Nazionale. Il sistema diffuso di corruzione e di razzia di soldi pubblici e che sta emergendo in questi ultimi mesi appare più eclatante di quanto sia in realtà, perché i suoi protagonisti sono in buona parte delle mezze calzette ignoranti e prive di spessore che si sono fatte scoprire come i classici ladri con le mani nel vaso della marmellata. Ma a differenza di Mani Pulite del 1992, questa nuova stagione giudiziaria sta anche investendo le fondamenta del potere finanziario italiano che venti anni fa ne era uscito pressoché immune. La caduta dell’impero di Salvatore Ligresti che






e ha perso il controllo del gruppo assicurativo Fonsai si è ripercossa su Mediobanca che, dopo la morte di Enrico Cuccia, ha perso il ruolo di centro propulsivo della finanza italiana. Una Mediobanca che ancora è il primo azionista delle Assicurazioni Generali, da sempre e a ragione considerata il gioiello del nostro sistema economico. L’eccessiva benevolenza dimostrata dalla banca di Piazzetta Cuccia per le sorti di Ligresti, con il sostegno finanziario che era stato generosamente fornito al finanziere e immobiliarista siciliano, nonostante l’evidente enorme situazione debitoria del gruppo, ha finito per coinvolgere anche i vertici dell’istituto. Si tratta di una vicenda nella quale gli incroci azionari tra industria, finanza, assicurazioni ed editoria, lasciano prevedere che si verificherà un profondo rimescolamento degli equilibri interni della cosiddetta Galassia del Nord e che nuovi soggetti, ben dotati di capitali, come Diego Della Valle (Tods) stanno facendosi avanti per trarre vantaggio da quello che in alcune società come la Rizzoli-Corriere della Sera appare come un vuoto di potere. Si tratta comunque di una situazione ancora in divenire nella quale le principali banche italiane giocheranno un ruolo centrale.
Quello che in ogni caso risulta evidente è che la finanza abbia esautorato nei fatti quello che era il ruolo dirigente della politica. Se pure le fondazioni bancarie, azioniste degli istituti di credito, sono espressione di realtà locali che non possono risentire di volontà politiche, è anche vero che le banche agiscono ormai come soggetti indipendenti. Sono state infatti le banche italiane, nel novembre dell’anno scorso a spingere un ormai impresentabile Berlusconi a dimettersi, facendo pesare il grande debito dal quale sono gravate le sue società. Sono state le banche italiane a supportare la nascita del governo Monti, un tecnico che è stato imposto al nostro Paese dall’Alta Finanza internazionale di marca anglofona, decisa a fare i conti con i nostri Paesi e a banchettare con la svendita definitiva e totale delle nostre imprese ancora pubbliche, Eni, Enel e Finmeccanica.
Si tratta di un potere che la finanza italiana ha potuto occupare approfittando del vuoto della politica. Il governo tecnico di Monti rappresenta, purtroppo, l’effetto di questa realtà di inadeguatezza dei politici italiani attuali che, nella Prima Repubblica, avrebbero potuto al massimo distribuire volantini per strada, fare i cinefili (o i cinofili che è lo stesso) sulle pagine dell’Unità dei bei tempi andati, o cuocere le piadine ai Festival dello stesso quotidiano. Un Festival al quale, è doveroso ricordarlo, venti anni fa e oltre, partecipavano politici di prim’ordine.
Ci troviamo in ogni caso in una fase fluida nella quale si aspetta di vedere cosa succederà alle prossime elezioni politiche e su chi sarà chiamato a guidare il prossimo governo. Al momento i sondaggi vedono vincitore il PD, ma in realtà il risultato resta molto incerto perché è condizionato dalla rabbia dei cittadini non solo verso una classe politica corrotta e vorace ma anche verso un governo tecnico che ha mostrato il suo vero volto tartassando i cittadini che si sono visti colpiti in quello che hanno di più prezioso e cioè la casa, il bene rifugio per eccellenza delle famiglie italiane. Una misura interpretabile come una punizione verso i milioni e i milioni di italiani che hanno preferito investire nel mattone, che bene o male è una cosa palpabile e concreta, piuttosto che in quelle azioni delle società della galassia del Nord consigliati dai giornali e dalle banche del Salotto buono.
Il dato innegabile è la povertà crescente di larghe fasce della popolazione. E non si tratta soltanto dei pensionati, dei lavoratori dipendenti e delle famiglie monoreddito che non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese. Ma sotto pressione si trova anche una grande schiera di piccoli imprenditori e professionisti che hanno visto crescere progressivamente la pressione fiscale. L’Ici sulla prima casa che era stata tolta da Berlusconi e che è tornata con il nuovo nome di Imu, ha rappresentato la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso di una indignazione generale. Una rabbia che si alimenta non solo per l’esistenza di un governo espressione del mondo bancario che sa soltanto tassare i cittadini ma anche dello spettacolo desolante di politici che non solo rubano senza alcun senso di decenza ma non sono nemmeno in grado di amministrare. I politici, si sa, nell’immaginario del cittadino rubano sempre e non decidono di fare i deputati e i consiglieri per spirito di servizio. Di conseguenza il fatto che un politico venga pescato ad abusare del proprio ruolo al fine del proprio arricchimento viene considerato quasi fare parte delle regole del gioco. Ma quello a cui stiamo assistendo in questi ultimi mesi è qualcosa che non di era mai visto prima. Autentici cialtroni messi nelle condizioni di fare man bassa dei soldi pubblici da loro amministrati e di quelli finiti nella disponibilità del proprio partito come rimborsi pubblici. Un modo di fare che si è nutrito del senso di impunità che nasce dalla convinzione che si tratta di un fenomeno generalizzato.
Sapere che un politico ruba o che vanta addirittura legami con la ndrangheta non è quindi una grande scoperta ma se questo si accompagna, come sta succedendo oggi, ad una crisi economica tipo quella in cui siamo immersi, allora la rabbia dei cittadini ha tutti i motivi per manifestarsi. Certo, ci si dovrebbe domandare chi sono coloro che hanno votato i vari Penati (PD), Zambetti e Fiorito (PdL) e li hanno issati sugli scranni dai quali sono caduti. Ci si dovrebbe domandare se i molti che ora si mostrano indignati, non siano andati a chiedere favori agli stessi politici ora sotto accusa. Ma questa è l’Italia, questa è la realtà con la quale si devono fare i conti.
Certo, cadono davvero le braccia quando si deve prendere atto che la possibile alternativa è rappresentata dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Un Movimento che in materia economica è animato da una accentuata linea liberista. Si tratta di un paradosso perché il comico genovese in passato aveva preso posizioni decise contro società come la Fiat e la Telecom. O meglio contro i soggetti finanziari che li controllano e li controllavano, come gli Agnelli-Elkann nel primo caso, e sempre gli Agnelli,poi i Colaninno-Gnutti, i Tronchetti Provera ed ora le banche che prima li avevano sostenuti e poi li hanno sostituiti nel secondo. Tutti azionisti che, nelle accuse di Grillo, avevano pensato soltanto a fare i propri interessi e che grazie all’ingegneria finanziaria erano riusciti a danneggiare i piccoli azionisti. Allo stesso modo Grillo, facendo sue le idee di Giacinto Auriti sulla moneta, aveva preso decisamente posizione contro la finanziarizzazione dell’economia e contro quella deriva imposta dalle banche e dall’Alta Finanza che aveva tolto alle valute la funzione di “misurare” (come la Dea Moneta) i beni in circolazione. Che quindi l’alternativa al marciume attuale sia il liberista Grillo, appare davvero sconfortante.

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