sabato 6 febbraio 2016

PLEBISCITO REFERENDARIO


 I referendum servono alle minoranze sconfitte in Parlamento o alle maggioranza inascoltate degli elettori. Quando se ne impadroniscono i governi diventano plebisciti, che della democrazia conservano la forma, l’inserire la scheda nell’urna, ma ne divengono la parodia. Qualche volta rivoltandosi contro chi li usa per altri fini. Con questo fuoco scherzano i governi inglese e italiano.
Nei sistemi in cui esistono i referendum propositivi (da noi no), servono a chi crede d’essere maggioranza nel Paese, ma continua a non vedere approvate leggi che ritiene utili. Allora convoca i propri pari, seguendo la procedura prevista, e propone loro di fare quel che il legislatore non sa o non vuol fare. Dove, come da noi, i referendum sono abrogativi, servono a cancellare leggi che il Parlamento ha approvato o non sa eliminare. Chi ritiene che i contrari a quella norma siano maggioranza nel Paese convoca i propri pari e propone loro di abrogarla. Da noi esiste l’eccezione del referendum confermativo, che consente di sottoporre a verifica le riforme costituzionali. Anche in questo caso c’è una procedura da rispettare (qui non ce ne occupiamo), ma anche in questo caso lo strumento serve a chi è contrario, altrimenti che convoca a fare gli altri cittadini? In Scozia ebbe senso che i secessionisti abbiano convocato un referendum popolare per separarsi dal Regno Unito. Lo hanno perso, ma il quesito era sensato. L’opposto, invece, sarebbe stato insensato: volete voi restare uniti al Regno, lasciando le cose come stanno? Che domanda fessa: basta non porsela e si ottiene la risposta. Ora David Cameron si trova alle prese con una simile fesseria: vuole restare nell’Unione europea, sa che uscire sarebbe un danno enorme, per gli inglesi, ha vinto le elezioni e dispone della maggioranza parlamentare, ma oramai ha detto che il referendum si deve fare e ne è rimasto prigioniero. Un trionfo democratico?


L’opposto: un fallimento democratico. La democrazia si basa sul potere delegato, altrimenti sarebbe assemblearismo. Può chiamarmi al referendum chi è contro i vincitori e le tesi prevalenti, non chi li guida ed elabora quelle tesi.  Cameron lo fece per raccogliere un vantaggio elettorale, soffiando sul fuoco dei conti fatti a cappero e dei presunti svantaggi europei (se oltre agli europei che si ammalano se ne vanno quelli che colà pagano le tasse, senza nulla volere se non evitare di pagarle a casa propria, voglio vedere come gli tornano i conti). Solo che, ora, quel fuoco gli lambisce le terga. Sicché lo spinge a compromessi non molto significativi: se Uk vorrà limitare il welfare a favore degli altri europei potrà farlo, con il consenso degli altri. Che razza di “conquista” è? Non aderirà né all’euro né a Schengen. Bravi, già adesso non aderiscono, quindi non cambia nulla. Solo che, una volta incassato il dividendo elettorale e messa in moto la macchina referendaria, non sanno più come fermarla, così che si verifica la peggiore delle trappole democratiche: la classe dirigente, finanziaria e politica, che teme di non sapere spiegare al popolo il perché delle scelte fatte e che si chiede di confermare. Mentre il bancarellaro di Cambridge si vede circondato da stranieri e un filo s’arrabbia, a dovere abbassare i prezzi. Da noi l’uguale: si fa passare una riforma costituzionale, il cui valore (negativo, non mi stanco di avvertire: quella roba è pericolosa) si chiarisce leggendola assieme al nuovo sistema elettorale, poi si vuole che il popolo si rechi alle urne confermando la prima, ma non avendo voce in capitolo sul secondo. L’obiettivo è il plebiscito. L’anticamera del voto politico, che eseguito con le nuove regole, porterà al monocolore. Una lama a doppio taglio, con la quale ci si sfregia inseguendo il trionfo, ma anche lasciando che in molti siano tentati dal tonfo. Perché, alla fine, non si vota pro o contro l’Ue o pro o contro la riforma, ma per elevare o affossare il furbo che s’è fatto venire in mente l’ida di approfittare del plebiscito. Né stupisce che chi ha il potere voglia comunque conservarlo, ma, come diceva bene Petrolini, infastidito da un loggionista rumoroso: non ce l’ho co’ te, perché così ce sei nato, ce l’ho con quello che te sta accanto e nun te butta de sotto. Davide Giacalone

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