venerdì 13 giugno 2014

PIACCIA O NO, SULLA LIBIA AVEVA RAGIONE BERLUSCONI


E se qualcuno s’azzarda a dire che Berlusconi, almeno in certe occasioni, vedeva più lontano dei suoi successori e degli stessi colleghi del suo partito, che succede? Dipende. Non accade alcunché qualora l’opinione venga comunicata privatamente agli amici. Se invece si ha la pretesa di scriverlo e di pubblicare un pezzo al riguardo su qualche blog, apriti cielo. Nel migliore dei casi l’articolo viene ignorato o accolto con sorrisi di commiserazione. Più probabile, tuttavia, essere coperti da reazioni sdegnate o veri e propri insulti.
Comunque io ci provo, e il tema prescelto è quello della politica estera. L’ineffabile Hillary Clinton, ex Segretario di Stato USA, ci racconta ora che, prima della nefasta e non dichiarata guerra occidentale contro la Libia, l’uomo di Arcore si oppose con tutte le forze all’idea di Sarkozy il quale, in un summit a Parigi, aveva manifestato l’intenzione di bombardare unilateralmente il Paese nordafricano, con il proposito manifesto di abbattere Gheddafi e il suo regime.
Come tutti sanno Cameron e gli inglesi si accodarono subito con entusiasmo facendo seguire i loro caccia (e le loro bombe) a quelli francesi. Gli americani abbozzarono senza bloccare l’iniziativa anglo-francese, e limitandosi a fornire droni in quantità e supporto logistico.

Per quest’ultimo erano assai utili le basi aeree e navali italiane, e in particolare quelle in Sicilia. La Clinton ci racconta dunque di un Berlusconi “furibondo”, che arrivò al punto di minacciare l’uscita dalla coalizione che stava formandosi e la proibizione di utilizzare le basi suddette.
Ma non ci fu nulla da fare, poiché alcuni esponenti del suo governo erano più realisti del re e non vedevano l’ora di far partecipare i nostri aerei all’azione. Ricordo in particolare l’ex ministro Frattini, che spingeva come una locomotiva per assicurare all’Italia il cosiddetto “posto al sole”.
I maligni attribuirono la reazione rabbiosa del premier alla sua nota amicizia con Gheddafi. E invece, a tre anni di distanza, adesso si capisce fin troppo bene che il vero obiettivo era tutelare gli interessi nazionali. A dispetto delle sue smargiassate, infatti, il defunto colonnello aveva sempre mantenuto un rapporto privilegiato con noi, suscitando le ire dei cugini d’oltralpe e dei sudditi della regina Elisabetta.
Il caos immane che si è poi scatenato in Libia ha dimostrato che le due ex grandi potenze coloniali si sbagliavano di grosso. In effetti nessuno ha tratto vantaggi dall’attacco, e gli avvertimenti di Gheddafi circa i pericoli di un rafforzamento di al-Qaeda dopo la sua morte hanno trovato puntuale conferma. Attualmente la Libia è terra di nessuno. Molte rappresentanze diplomatiche occidentali hanno chiuso i battenti; il flusso dei migranti verso le nostre coste è ormai diventato insostenibile, e ci ritroviamo un pericolosissimo focolaio di fondamentalismo islamico sull’uscio di casa.
Berlusconi aveva dunque visto giusto, anche se dargli ragione dopo che il guaio è stato combinato non consola più di tanto. Né si dimentichi che Hillary Clinton ha sulla coscienza il barbaro assassinio dell’ambasciatore americano a Bengasi, fatto circa il quale ha sempre rifiutato di fornire spiegazioni decenti trincerandosi dietro il segreto di stato.
Ma questa – si dirà – è acqua passata, anche se le conseguenze continuano a colpirci. Mette però conto rammentare che, più recentemente, l’ex premier ha lanciato segnali d’allarme anche a proposito del caso ucraino, invitando il nostro governo ad assumere posizioni moderate. Si dirà, come già è accaduto nel caso di Gheddafi, che la sua prudenza è dettata dall’amicizia con Putin?
Voglio sperare di no, perché sbagliare è umano, ma perseverare nell’errore è diabolico. Pure in questa occasione, infatti, sono in gioco i nostri interessi nazionali, dei quali a Unione Europea, NATO e Stati Uniti importa poco o nulla (e forse giustamente: spetta a noi tutelarli).
Non occorre insomma essere berlusconiani per dare ragione a chi ce l’ha e l’aveva anche in passato sul caso libico. Riconoscerlo è, a mio avviso, una mera questione di onestà personale.
Michele Marsonet

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