La moschea di
Ravenna RAVENNA
La città in cui secondo le
classifiche si vive meglio nel nostro Paese è anche quella da cui sono partiti
più combattenti per la Siria. Un mistero su cui pm e polizia stanno cercando in
segreto di fare luce. A caccia dei reclutatori dal nostro inviato FABIO
TONACCI di REPUBBLICA
- La città dove si vive meglio ora si scopre "capitale" dei
foreign fighter . Da Ravenna, 164mila
abitanti, in cima alla classifica per qualità della vita, salotto d'Italia
pulito, ordinato e ricco ne sono partiti già sei. Destinazione: Siria. Un
settimo l'hanno fermato appena in tempo, aveva già il biglietto aereo in tasca
e un miliziano dell'Is ad attenderlo nell'accampamento di Yarmouk. Sette
tunisini che vestivano all'occidentale, e poi sono spariti. Sette sono quelli
"ufficiali", individuati dalla Digos. Ravenna, da sola, ha il 10 per
cento dei foreign fighter censiti dal Viminale. Tre di loro, Mohamed El Anssi,
Mohamed Hamrouni e Neji Ben Amara, sono morti in combattimento. Ma nella
comunità straniera di questo paesone dove tutti conoscono tutti, le cifre non
tornano. "Sono molti di più quelli andati col Califfato", sussurrano.
"Almeno 20 finora, quasi tutti tunisini: i più partiti tra il 2012 e il
2013". Voci. Quelle, per esempio, dei ragazzi con la pelle scura che
ciondolano nell'afa dei giardini Speyer, tra la stazione e la chiesa di San
Giovanni. Lanciano occhiatacce a chi si ferma troppo nei paraggi. Perché, se ti
avvicini, "o sei sbirro o cerchi il fumo". Nouassir Louati era uno di
loro. Nato 28 anni fa a El Fahs (cittadina a 60 km da Tunisi dove si registra
una forte presenza di gruppi fondamentalisti di Shabab al-Tawhid e ad alto tasso
di spaccio di droga: è da lì che proviene la maggior parte dei tunisini di
Ravenna), sbarcato a Lampedusa nel 2011, ha precedenti per droga, una ex moglie
italiana e una figlia. Ai giardini Speyer, portava sempre il cappellino alla
rovescia. È lui il primo aspirante jihadista arrestato (il 22 aprile scorso)
con la nuova normativa antiterrorismo che punisce non più solo il reclutatore
ma anche l'arruolato. Al telefono non diceva niente, Nouassir. Sulla chat di
Facebook, invece, scriveva di voler "alzare la bandiera di Allah sulla
Torre di Pisa e conquistare Roma". Ora piange nel carcere cosentino di
Rossano, soffrendo di crisi di astinenza. Il primo a partire fu El Anssi. In Romagna, dove è arrivato nel 2008, ha
trovato qualche lavoretto negli alberghi di Cervia e molti guai con la cocaina.
Sparito nel 2012, di lui non si è saputo più niente fino a quando l'ex compagna
ha scoperto che era morto in Siria nel maggio 2014. Dopo El Anssi, se n'è
andato Hamrouni. In Italia dal 2002, ucciso in Siria nel 2014. Con lui, tre
anni fa, erano andati altri due tunisini di cui si sono perse le tracce. Siamo
a quattro. Di Ben Amara Neji, 36 anni, non lo avresti mai detto. Fissato con la
moda, frequentatore di discoteche, barista saltuario con regolare permesso di
soggiorno. Viveva a Cervia dalla cugina, poi è scappato a Milano e si è
dileguato: deceduto sotto le bombe sganciate dai militari giordani tra il 4 e
il 5 febbraio scorso. Negli stessi giorni in cui un altro straniero di Ravenna, 33 anni, abbracciava la jihad.
Ha telefonato alla sua ex moglie di Foggia e le ha comunicato che andava in
Turchia per attraversare il confine. Ciò che aveva
progettato di fare Louati, prima
che la polizia lo fermasse. Sette. É
l'enigma dell'insospettabile Ravenna, questa proliferazione di foreign fighter
. Perché così tanti? Cosa è successo tra gli immigrati, 19mila, così integrati
da non creare mai un problema? Cercano una spiegazione il sindaco Fabrizio
Matteucci, i rappresentanti della moschea di Bassette (la seconda d'Italia per
dimensione), la dirigente della Digos Monica Grazioso, che ha messo in piedi un
pool di investigatori sull'estremismo islamico. Da un anno c'è un'indagine
dalla Dda di Bologna su una rete di 5-6 presunti arruolatori attivi soprattutto
tra 2012 e 2013. Gente che ha saputo pescare a piene mani nel disagio delle
centinaia di tunisini arrivati dopo la Rivoluzione dei Gelsomini.
Avvicinandoli. Indottrinandoli. Confondendo la lotta al dittatore Bashar al
Assad con le mire di Al Bagdhadi. Nel 2012 Ravenna, e la sua comunità
musulmana, erano in agitazione. C'erano centinaia di profughi da accogliere. Il
direttivo del Centro di cultura islamica della Romagna era scaduto, ma il
presidente (l'iracheno Basel Hamed) era rimasto al suo posto tra le polemiche per
gestire la costruzione della moschea nella periferia industriale e infestata
dalle zanzare delle Bassette. L'associazione di donne musulmane
"Life" fondata dall'italiana convertita Marisa Iannucci denunciava
con lettere pubbliche "l'oscurantismo, il sessismo e la gestione poco
trasparente" del direttivo del Centro. Anche l'imam locale, l'egiziano
Ashraf Gareeb, era bersagliato di critiche. In quel fermento, il 4 ottobre
2012, spunta Musa Cerantonio. Lo invitano a parlare per il dialogo interreligioso.
Ma l'uomo, arrestato un anno fa in Indonesia, è in realtà uno dei più
pericolosi predicatori erranti dell'Is. Non volle stringere la mano
all'assessore alla Sicurezza, perché donna. "Era di passaggio a Ravenna", si difende Basel Hamed. In
realtà il nome Cerantonio compare sul volantino dell'evento, stampato settimane
prima. Fatti. E coincidenze. Che non spiegano del tutto, ma aiutano a capire. Perché Ravenna, Basel? "Non lo so, le attività della moschea e i sermoni del
nostro imam sono controllati.
Condanniamo sempre la violenza, soprattutto quella indegne dello Stato
Islamico. I ragazzi partiti non pregavano con noi". E quindi? Nessuno
riesce a risolvere l'enigma dell'insospettabile Ravenna. Città dove si vive benissimo, eppure "capitale" dei foreign
fighte
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