Tempi - In pochi mesi Renzi
ha chiesto le dimissioni di Alfano, Cancellieri e De Girolamo per guai
giudiziari minori e anche se non erano stati condannati. Ora, però, difende
Errani. Da ieri, Matteo Renzi è ufficialmente
un garantista . «Finché non c’è sentenza passata in giudicato un
cittadino è innocente», ha twittato il premier. Il riferimento è alla condanna
in secondo grado di Vasco Errani, presidente dell’Emilia-Romagna, punito dai
magistrati a un anno di detenzione perché avrebbe illecitamente favorito la
cooperativa del fratello. Errani ha già presentato le sue dimissioni. Renzi gli
ha inviato sms, mail e tweet in segno di solidarietà. «Vasco, resta», gli
ha detto. Il premier sembra aver subito un cambiamento repentino in fatto di
giustizia, visto che solo fino a poco tempo fa chiedeva le dimissioni per tutti
i politici inseguiti da guai giudiziari, senza che avessero nemmeno subito una
condanna, come Nunzia De Girolamo, Annamaria Cancellieri e Angelino Alfano. INCOERENZA PD. «Invitiamo
Vasco Errani a riconsiderare le sue dimissioni», ha detto in una nota, la
segreteria del Pd. «La Costituzione dice che un cittadino è innocente finché la
sentenza non passa in giudicato». Tanto è bastato a far dire a Claudio
Cerasa, giornalista del Foglio,
che «il Pd, con il caso Errani, sta facendo quello che ha sempre
contestato al centrodestra: contestare una sentenza della
magistratura». Il premier ha prontamente ribattuto su twitter: «Si chiama
garantismo, ricordi?». Certo è che Renzi e il Pd, in fatto di “garantismo”, non
hanno dimostrato molta coerenza, soprattutto nell’ultimo anno. VOTO PALESE. Il voto
palese voluto da Pd, Sel e Movimento 5 Stelle sulla decadenza di Silvio
Berlusconi, nell’ottobre 2013, non era una decisione nel segno del garantismo.
Anzi. La sinistra, «educata per anni a pane, mortadella e giustizialismo»
(definizione fornita da Cerasa a tempi.it), decise di sbarazzarsi di
Berlusconi senza lasciare margini alla coscienza dei
senatori, negando il voto segreto, nonostante il regolamento parlamentare lo
imponesse. Con il voto palese, approvato dall’ex pm e presidente del
Senato, Pietro Grasso, i margini per una scelta di coscienza non ci
furono, e la decadenza del senatore Berlusconi diventò un atto politico.
CASO GENOVESE. Sembrava che con la
segreteria di Renzi le cose cambiassero, ma quando la magistratura chiese al
Parlamento l’autorizzazione per l’arresto preventivo del deputato (non
condannato) del Pd, Vito Genovese come già era accaduto per Berlusconi, il
partito, già guidato da Renzi propose il voto palese. «Renzi e il Pd hanno
ceduto alla barbarie di Grillo e alla provocazione dei magistrati», disse a
tempi.it, il forzista Maurizio Bianconi. Non tutto il partito di Renzi aderì
però alla proposta. Giuseppe Fioroni, uno dei primi sostenitori del premier,
votò contro. Però, alla fine, Genovese fu mandato agli arresti dalla Camera,
senza condanne sul groppone, per volere proprio del premier, che, in vista
delle elezioni europee, aveva consigliato ai compagni di partito di votare sì
alla richiesta dei magistrati. Il giornalista Cerasa, a
tempi.it, classificò la decisione del segretario-premier come
uno «sbaglio clamoroso» con il quale aveva dimostrato di
essere «subalterno al giustizialismo». Bianconi, acutamente, osservò che
«non si può fare i Torquemada e i difensori delle istituzioni a giorni
alterni». Da ieri, Renzi, ha dimostrato che è possibile.
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