Il pm che si accanì contro il presentatore fa mea culpa. Tra 30
anni faranno lo stesso i persecutori di Berlusconi
Vittorio
Feltri - Le scuse sono arrivate
con trent'anni di ritardo, ma sono arrivate. Meglio tardi che mai, recita un
vecchio adagio. Rendiamo quindi onore a Diego Marmo, pubblico ministero nel
processo che a Napoli condannò Enzo Tortora, in primo grado, a dieci anni di
galera per spaccio e consumo di droga- La
sua onestà intellettuale, molto lentamente, troppo lentamente, si è manifestata
in un'intervista che egli ha rilasciato al Garantista, nuovo giornale di
Piero Sansonetti, comunista sui generis, e persona perbene (rara avis, per rimanere
nel latinorum, vizio imperdonabile della mia generazione i cui rimasugli
giacciono nel carrello dei bolliti misti). Marmo riconosce l'errore che a me
personalmente e a pochi altri balzò immediatamente agli occhi, dopo una
sommaria lettura delle cosiddette carte. Non la faccio lunga perché del caso
Tortora si è discusso per anni, simbolo della fallacia di una giustizia
vendicativa, torva e talvolta pressappochista. Marmo (nomen omen, avanti col
latinorum) al tempo che fu era invece convinto che il signor Portobello, quello
che andava in giro col pappagallo sulla spalla, fosse addirittura un cinico
venditore di morte. Ullallà! I magistrati sono bravi ragazzi, ma se si fissano
su un tizio, ci danno dentro per inchiodarlo. Cosicché il celebre Pm si impegnò
per trovare sostegno ai propri sospetti, e li trovò. Dove? In mancanza di
meglio si affidò ai pentiti.
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