La «class action» muove i primi passi. Il Giornale contro Antonio
Ingroia, ex procuratore aggiunto a Palermo, ex capo di un'unità anticrimine
dell'Onu in Guatemala e oggi, dopo il passaggio più rapido di una meteora in
Centroamerica, frenetico leader e candidato premier del Quarto Polo. In palio c'è l'onore di Forza Italia che
il magistrato prestato alla politica ha fatto a pezzi nel libro intervista Io
so. Quel testo, rilanciato in novembre dal Fatto Quotidiano, è andato di
traverso a oltre settemila nostri lettori che hanno aderito immediatamente
all'iniziativa lanciata dal Giornale: una causa civile, con una richiesta di
risarcimento adeguato, per difendere l'immagine del partito azzurro, un pezzo
fondamentale di democrazia nell'Italia degli ultimi vent'anni. Ora il
procedimento si è messo in moto. Sono in corso le notifiche e intanto è già
stata fissata la prima udienza: si terrà il 20 giugno al tribunale di Roma. La tesi di Ingroia è affilata come
la lama di un coltello: all'origine di Forza Italia ci sarebbe un peccato
originale, un accordo sotterraneo e obliquo fra i boss e Marcello Del'Utri. Il
leader del movimento arancione ancora la sua ipotesi alle testimonianze di tre
pentiti di mafia che a suo tempo avevano confermato i convincimenti dei pm di
Palermo. Ingroia riconosce che la corte d'appello smontò il teorema, cui invece
avevano creduto i giudici di primo grado, ma poi rincara la dose aggiungendo
una valutazione scioccante da tecnico del diritto: la legislazione sul fronte
del contrasto alla criminalità sarebbe, secondo lui, la prova provata e la
conseguenza diretta di quell'accordo scellerato. Insomma, i parlamentari di
Forza Italia, almeno su questo versante, sarebbero stati eterodiretti dalle
coppole. E avrebbero votato e fatto approvare norme che li favorivano.
Fantascienza. Fiction che contrasta, se non altro, con le centinaia di arresti
e con i sequestri record di capitali mafiosi che hanno fatto dire ad un altro
magistrato di punta, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, oggi
peraltro pure candidato ma per il Pd, che per questo Berlusconi avrebbe
meritato un premio. Lo stesso Berlusconi che però avrebbe lavorato per i boss,
con uno sdoppiamento alla dottor Jekill e Mister Hyde
Risultato: il
Giornale ha promosso un'iniziativa per tutelare l'orgoglio dei militanti e in
tanti hanno risposto con entusiasmo. Al tappeto lunghissimo di nomi si
aggiungono quelli di alcuni parlamentari di lungo corso: Marcello Dell'Utri, il
principale responsabile, secondo Ingroia, di questo inconfessabile matrimonio,
a sua volta sotto processo da moltissimi anni per i suoi presunti legami con la
criminalità siciliana, e poi Vittorio Sgarbi, Giuliano Urbani e Sandro Bondi.
L'avvocato Liborio Cataliotti ha
confezionato l'atto d'accusa, ora la parola passerà ai giudici della capitale:
«Il numero delle persone che si sentono offese dalle affermazioni di Ingroia è
impressionante - spiega Cataliotti - molti, dopo aver letto il mio nome sul
Giornale, hanno inviato messaggi ed email di adesione direttamente al mio
studio, a Reggio Emilia. E tutti parlano di Forza Italia al presente e non al
passato, perché evidentemente sentono che il partito è parte integrante della
loro storia. Una storia che non si s'è chiusa ma è ancora in pieno
svolgimento». Una vicenda che non può essere racchiusa nei verbali dei pentiti
e nei teoremi delle procure.
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